Il futuro presidente Usa faceva contrabbando del riso made in Piemonte

di Gianfranco Quaglia

“Se dovessi scegliere tra un governo senza giornali e giornali senza un governo, non esiterei un istante a scegliere la seconda opzione”. Questa famosa frase fu pronunciata nel 1787 da Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti, e mantiene tutta la sua attualità. La sua visione è rimasta un monito a distanza di oltre due secoli, così come dovrebbe fare riflettere l’attenzione che Jefferson, prima di salire alla Casa Bianca, rivolse all’agricoltura italiana quando era ambasciatore a Parigi. In altre parole: il diplomatico futuro presidente aveva intuito, già sul finire del ‘700, che in Piemonte e Lombardia si coltivava un riso eccellente. Schiavista, razzista, imperialista, ma seguace della dottrina fisiocratica che fa risiedere la fonte della ricchezza nell’agricoltura, si fece interprete di una missione da 007 nel mondo agricolo italiano, in particolare nella risaia piemontese per carpirne i segreti. Negli Stati Uniti erano infatti convinti che la qualità dipendesse dal modello di gestione della filiera produttiva del riso, con  sostanziali differenze in Camargue e nell’area Vercelli-Novara. Ma dopo aver a lungo soppesato le due situazioni, il diplomatico capì che il segreto fosse da attribuire alla qualità di riso coltivata in Piemonte. Da qui l’idea di contrabbandare quel prodotto per portarlo di nascosto in Virginia, zona vocata alla risicolura, dopo aver inutilmente inseguito il progetto di un interscambio Piemonte-Usa. Sfidò anche la morte, perché la pena capitale era previta per coloro che commerciavano illegalmente prodotti agricoli. Il futuro terzo presidente americano commissionò il trasporto di due sacchi fino a Genova a un passatore, altre manciate ne nascose nel bagaglio e nelle tasche del cappotto prima di imbarcarsi sulla nave. Quella merce preziosa arrivò in Virginia, ma non sfociò in un successo: troppo diverse le condizioni ambientali e le tecniche agronomiche, quei chicchi contrabbandati non ripeterono i risultati ottenuti in Piemonte. Insomma, un fallimento.

Ma il messaggio è un altro: l’inimitabilità del prodotto riso Made in Italia, oggi attaccato dalla concorrenza che arriva dal Sudest asiatico, da accordi Ue-Mercosur che potrebbero favorire altre importazioni a dazio agevolato. Jefferson ci ricorda che il sistema riso Italia vale molto di più di quanto considerato, che non è una commodity, merce di scambio, ma un gioiello unico nel mondo. 

 

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