Il futuro della famiglia è anche quello dell’agroalimentare

Il futuro della famiglia è anche quello dell’agroalimentare

 

di Enrico Villa

In tutto il globo la famiglia è un riferimento per l’economia agroalimentare. Le Nazioni Unite, di cui la Fao è un braccio operativo con sede a Roma, il 15 maggio di ogni anno (cioè domenica prossima) ha proclamato la Giornata internale della Famiglia. La risoluzione dell’ONU risale al 20 settembre 1993, e al Parlamento Italiano il deputato di Brescia Mario Sberna e altri hanno presentato un disegno di legge per proclamare ogni anno anche in Italia la “giornata nazionale della famiglia“. Questa “festa dell’umanità” si intreccia in ogni comunità territoriale con gli aspetti principali della tradizione territoriale.

I demografi, in relazione anche con l’economia e con l’alimentazione, prevedono in progressione lo sviluppo della popolazione umana.

Quando saremo 8,5 miliardi

E la Fao ha calcolato quanto numericamente accadrà entro il 2050. Rapidamente l’umanità, si avvia a raggiungere il record degli 8 miliardi e mezzo. Gli economisti della Fao, hanno anche fatto questi calcoli sul fabbisogno alimentare in più in relazione alla crescita delle popolazioni: circa 20 miliardi di tonnellate di carne, 600 miliardi di tonnellate di grano, 170 miliardi di tonnellate di soja, 430 miliardi di tonnellate di frutta, 370 miliardi di tonnellate di verdure. Già queste cifre indicano che l’agricoltura avrà ancora un futuro sicuro, comunque da non compromettere mai. Gli studiosi di demografia e di sociologia non sono altrettanto precisi su un “nucleo economico fondamentale” come la famiglia. In occidente è intesa in un modo, in oriente in un altro. Ed è quindi difficile azzardare numeri e proiezioni. Forse decine di milioni di unità con fisionomia e struttura diverse secondo la morale corrente, le religioni e la filosofia. Negli Stati Uniti – se le statistiche non sono imprecise – sono passate da pochi milioni di anni fa a una cinquantina di milioni. In Italia, secondo l’ultimo censimento, su una popolazione di poco più di 59 milioni5oo mila individui, le famiglie sono 22 milioni circa, destinate ad aumentare a causa della migrazione (stranieri passati da poco più di un milione a quasi 4 milioni) e sulla recente legislazione nazionale che modificherà la famiglia, già allargata, diversamente dalle sue basi tradizionali.

Considerare i bisogni alimentari

La ricercatrice universitaria Anna Maria Campanini (Università di Parma) in un suo saggio ha ipotizzato che cosa sarà la famiglia nel terzo millennio, anche con ricadute di carattere economico e agroalimentare. Rosario Trefiletti, il sanguigno presidente di Federconsumatori è stato più diretto: la crisi economica nella quale ancora versiamo non sarà superata se non saranno considerati i bisogni finanziari e alimentari della famiglia. E, con decine di inchieste sulla famiglia, si sono soffermati i sociologhi e i ricercatori di marketing. Un dato fra i tanti che documenta l’evoluzione alimentare del nostro Paese. Il consumo di carne, in decenni è passato da 27 chilogrammi a 78 chilogrammi. E in un giorno consumiamo l’acqua, bene sempre più prezioso anche in agricoltura, con oltre 175 litri al giorno. Però il fabbisogno calorico, che è assicurato dai cibi e dalle bevande, in 160 anni non si è mosso di molto: da 2.300 calorie nel 1861 a circa 2000 calorie adesso. Tuttavia, nel frattempo, è mutata la spesa familiare annua complessiva in relazione ai bisogni. L’onere per l’alimentazione (quindi anche l’acquisto di generi agroalimentari) si è attestato sul 20% circa, mentre il 30% circa per l’abitazione e il 16% circa per i trasporti. Il periodo di crisi economica, in realtà incominciato nel 2007 e non ancora finito, ha incrementato l’acquisto familiare settimanale delle famiglie nel 60% circa di supermercati. Sul fronte della grande distribuzione e connessi, le cifre sono state meno drammatiche mentre la crisi si è scaricata sui produttori agroalimentari, causata soprattutto dalle promozioni commerciali. Le grandi multinazionali, come quelle francesi e tedesche, con le promozioni hanno ottenuto due vantaggi: l’aumento delle vendite ai consumatori quasi mai rispettando il made in Italy nonché la assoluta penalizzazione dei prezzi, assai bassi, praticati alla produzione originaria. E, secondo diversi analisti, il crollo dei fatturati si è soltanto ridotto dello 0,8% circa.famiglia

I cibi semaforo

Invece sul fronte degli acquisti agroalimentari, con meno pane, cereali, formaggi, uova, con un compensazione leggera dovuta a pesce, bevande, frutta, verdura le cifre sarebbero più significative per l’agroalimentare: meno 17% in tutto, con meno l’11% per i cereali, e meno il 9% per il latte. Statisticamente a causa della crisi generale, la ripercussione si è avvertita meno in Italia e in Gran Bretagna (meno 10%) che vuole uscire dall’Euro, rispetto agli Usa (area del dollaro, meno 26%), del Giappone (meno 25%). La Gran Bretagna, per colpire il made in Italy, ne ha inventata una in più: i cibi semaforo avversati dalla Europa, ma che con i colori in etichetta dovrebbero sconsigliare le famiglie a consumare alcuni alimenti della tradizione e importanti per la nostra esportazione.

 

 

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