Il “caso” Arborea esempio di cooperazione

Il “caso” Arborea esempio di cooperazione

di Enrico Villa

arboreaLe reti televisive italiane, in questi giorni hanno parlato della 3A Cooperativa Assegnatari Associati Arborea, istituita negli anni Cinquanta da numerose famiglie di origine veneta. La ragione era di grande attualità: l’assunzione a tempo indeterminato di un cinquantenne in base al Job Act, promulgato dal Governo di Matteo Renzi. Ma la notorietà della cooperativa del latte, nucleo portante della filiera casearia sarda e della vicina Corsica, è un’altra: il suo ruolo nel nostro Paese del tessuto, da rinforzare, delle associazioni di produttori (le AP) sulla cui diffusione nei 28 partner insistono la UE e la nuova Pac.
Sulla 3A ha recentemente predisposto una lusinghiera “scheda operativa” l’Inea (Istituto Nazionale di Economia) parlando delle grandi filiere del latte e del formaggio, come quella del grana o del gorgonzola, quest’ultima con nucleo portante rappresentato dal Consorzio di Tutela con 38 aziende socie operanti in Piemonte e in Lombardia. Annota, infatti, l’ Inea: alle altre grandi AP del latte, ossatura dell’agroalimentare, specialmente nella Pianura Padana, si aggiunge la 3A Cooperativa Assegnatari Associati Arborea, con 225 soci e circa 133 milioni di Euro di valore prodotto. E aggiunge: “Si tratta di una realtà imprenditoriale storica nel panorama della produzione lattiero-casearia che trasforma il 90% circa del latte vaccino dell’isola”.
Ma al di là dell’importanza strutturale ed economica della 3A, è interessante la sua storia che anche evidenzia un aspetto peculiare: le grandi filiere lattiero-casearie del Nord Italia agiscono, e si sono sviluppate, nelle stesse aree della filiera del riso, prima in Europa Comunitaria, che dagli anni Trenta ha come principale riferimento l’Ente Nazionale Risi di Milano. Negli anni Venti l’ampia zona, ora in provincia di Oristano e a ridosso dello stagno ecologico e faunistico di Cabras nonché in una parte del Campidano cagliaritano, era altamente paludosa e malarica. Nella seconda metà di quel decennio il Governo, presieduto da Benito Mussolini, decise la bonifica integrale. Il nucleo urbanistico principale fu identificato nell’abitato di Arborea, sul quale dal Medioevo aveva dominato la omonima famiglia nobiliare di origine catalana. L’organizzazione statuale faceva capo ad una figura di giudice, fra cui Eleonora di Arborea (1347/1404) che a questa porzione di Sardegna in genere dipendente dai Savoia piemontesi diede anche uno statuto avveniristico per il tempo, conosciuto come Carta de Locu. Le tracce storiche figurano anche nei marchi (ad esempio della Sa.Pi.Se, Sardo piemontese sementi) con la raffigurazione della Torre di Mariano, padre di Eleonora, nel centro di Oristano che gli esperti di marketing collocano accanto alla vercellese basilica gotico-romana di Sant’Andrea. In funzione della bonifica, negli anni Venti fu determinato un consistente trasferimento di coloni dal Veneto e dal Friuli ad Arborea che, secondo il costume dell’epoca, fu chiamata Mussolinia. Il territorio tutto intorno prese progressivamente le caratteristiche delle aree venete, con la peculiarità di filari di alberi e importanti pascoli che sussistono tutt’ora e che servono per nutrire i bovini i quali danno latte alla Cooperativa 3A. L’acqua, inoltre, era ed è essenziale. Così furono imbrigliate le acque del fiume Tirso con due dighe, ed un lago denominato Omodeo dal nome del primo progettista 90 anni fa, inaugurate rispettivamente nel 1924 e nel 1997.
La risorsa idrica, qualche volta scarsa per le siccità che talvolta colpisce la Sardegna e le opere di bonifica, negli anni Trenta richiamarono dalla Pianura Padana anche risicoltori, via via produttori di riso di grande pregio grazie all’effetto del mare e del clima. Il rapporto al Ministero dell’agricoltura, presentato il 17 dicembre scorso dall’Ente Risi, richiama anche l’ultima estensione della risaia della Sardegna, in provinciali Oristano accanto ai prati di Arborea e nel Campidano: 3.308 ettari, un po’ meno rispetto all’anno scorso, comunque un “pigmeo” se raffrontata alla risaia piemontese, di 112.511 ettari. Però la superficie sarda, ad alta specializzazione, tanto che appunto trent’anni fa risicoltori vercellesi e oristanesi appunto crearono la S.Pi.Se. che produce seme di grande qualità. In ogni caso, rispetto ad Enna con risaie su appena 2 ettari e a Cosenza su 508 ettari e a Udine su 7 ettari, nel suo piccolo da un punto di vista tecnico la risicoltura sarda è molto importante. Così come lo è la 3A di Arborea, nel contesto assai ampio del sistema lattiero-caseario italiano e della Unione Europea.

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