Erbe officinali: fanno bene al reddito agricolo, ai consumatori e all’ambiente

Erbe officinali: fanno bene al reddito agricolo, ai consumatori e all’ambiente

di Enrico Villa

Le donne addestrate a scegliere le erbe officinali, anche utilizzate dai monaci che negli orti dei semplici avevano imparato a coltivare il riso, avevano determinato confusione nelle foreste medioevali che ricoprivano tutta l’Europa. Intanto, la sapienza greca e romana che veniva dalle aree più adatte del Mediterraneo, aveva lasciato tracce indelebili. Le erbe officinali, alcune migliaia come secoli dopo avrebbe accertato lo svedese Linneo (1707/1778), i monaci e le fattucchiere che si portavano dietro una nomea negativa studiavano le stesse erbe anche distillandole perché combattevano la morte come avevano insegnato i cinesi dai tempi di Chen-Nong, Aristotele, Plinio, Galeno, anche Mitridate che temeva i veleni, Ippocrate, le Scuole mediche salernitane, i conventuali di Montecassino, le comunità femminili tedesche nel 1492, che importate dalle Americhe avevano approfondito le virtù terapeutiche delle officinali anche in cucina, puntando sulla Nicotiana Tabacum cui era attribuita la capacità erronea di curare tutti i mali.

La svolta scientifica, che avrebbe influenzato le cure mediche, arrivò grazie alle erbe che venivano lavorate e disseccate negli antichi laboratori farmaceutici: la corteccia di china nel 1803, la morfina nello stesso anno, nel 1820 l’isolamento del chinino, nel 1860 la cocaina dalle foglie di coca, verso la fine dell’Ottocento l’aspirina (acido salicilico) tratto dalla corteccia di salice che aiuta a rendere più fluido il sangue umano e ad evitare i trombi, cioè i grumi di sangue i quali, lungo il nostro sistema sanguigno raggiungono il cervello provocando disastri. La storia dei ritrovati derivanti dalle erbe officinali andò di pari passo con la scoperta di Gutemberg (1403/1468) che favorì le pubblicazioni e con le incisioni a colori, veri capolavori artistici con la capacità di illustrare i particolari delle varie erbe.

Ma in più di circa ottocento anni fa i diversi poteri delle varie epoche si ritrovarono ad introdurre norme per regolamentare l’attività delle fattucchiere nonché dei conventuali eccessivamente fantasiosi. E così l’imperatore Carlo Magno (742/814) il quale stava affrontando dopo l’incoronazione a Roma a Natale da Leone III l’unificazione di parte dell’Europa, affrontò anche il capitolo delle erbe officinali. In proposito spiegano gli storici: Carlo Magno, nell’Ottocento fece compilare una lista di piante medicinali da coltivare per il benessere dei suoi sudditi. Fu lui a coniare la definizione delle piante medicinali e aromatiche. La cultura di queste erbe e della sua efficacia popolare è sopravvissuta per secoli, tanto che le stesse in Europa sono in fase di rilancio economico, riconsiderandole una ricchezza da sfruttare. Negli ultimi anni il ministero delle Politiche Agricole congiuntamente con l’Ismea e Coldiretti hanno effettuato uno studio completo dal quale risulta: in tutte le regioni italiane, particolarmente in Piemonte dove prevalgono menta, camomilla, lavanda, Lombardia, Veneto e nelle aree meridionali, l’obbiettivo è di diffondere la coltivazione delle erbe officinali. Tuttavia, in Italia per usi industriali, medicinali e cosmetici ne produciamo soltanto il 30% del fabbisogno, attestandoci su circa il 3%. Il grosso del fabbisogno arriva da Cina, Bulgaria, Francia, paesi dell’Est dove la domanda è più vivace, così come è l’atteggiamento dei consumatori per le erbe officinali. Stando all’inchiesta ministeriale e dell’Ismea le produzioni estere giungono da aziende con una estensione di circa 1000 ettari. Non solo: in Italia, rispetto ai concorrenti esteri europei e di altri paesi del globo, l’impegno sul territorio è di 200 mila ettari sui quali operano 36.000 aziende, appunto soltanto una esiguità rispetto alla alluvione di prodotti di circa il 70% che provengono dall’export. Il nocciolo duro da scalfire soltanto nell’ambito europeo, è rappresentato da queste cifre: 3.600.000 aziende che svolgono la loro attività specialistica di 234.000 ettari che influenzano l’industria manufatturiera del comparto come lo scorso anni ha testimoniato una rassegna annuale generalista Mecspe a Parma.

L’interesse per la ripresa delle erbe officinali anche con l’attenzione della Fao, è dimostrato dalla rete dove ogni giorno sono aperti siti nuovi con schede storiche e biologiche illustrative. L’argomento, come molte volte accade, è alla moda, in particolare per i cosmetici che dalle erbe officinali derivano e che stanno fondando un mercato all’ingrosso e alla importazione assai importante. Ma l’attenzione è anche scientifica come in Italia hanno evidenziato studi e convegni dei Georgofili e delle Università. Una di queste iniziative, importante e voluta qualche anno fa dalla Università di Pisa, è stata dedicata, appunto, alle piante officinali ed aromi nella storia dei popoli il cui corso è stato influenzato dalle erbe. Paolo Emilio Tomei, uno dei relatori, ha annotato: le migliaia di informazioni che, con il trascorrere del tempo si sono sedimentate nella cultura dei popoli, costituiscono oggi un patrimonio di notevole valore; è a partire da questo che la moderna ricerca si muove per discernere ciò che di vero può essere nascosto in questo atavico lavoro, per proiettarsi poi verso le attuali realtà della scienza. Coltivandole, le erbe officinali riusciranno ad assicurare in più il reddito agricolo, la salute del consumatore, l’equilibrio ambientale scongiurando, come prevede la Fao, con l’equilibrio del territorio la scarsa produzione che potremmo registrare, nostro malgrado, drammaticamente fra mezzo secolo.

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