di Gianfranco Quaglia
E’ terminato. Finalmente. Purtroppo. Dipende dai punti di vista, dalle prospettive. Ciascuno degli oltre 22 milioni di visitatori e di tutti gli altri che non hanno mai varcato i tornelli, ora trancia giudizi diversi su Expo2015 arrivato alla fine di questi sei mesi. Si dirà che lo slogan «Nutrire il pianeta energia per la vita» è stato centrato, oppure disatteso e stravolto. Si dirà che l’agricoltura sostenibile ora ne esce più forte o al contrario bistrattata e offesa dall’assordante rumore della grande folla o dai troppi convegni per le solite, privilegiate conventicole. Si dirà che le abbuffate e lo <street food» lungo il decumano hanno sepolto il richiamo al concetto di cibo sprecato.
Ci sarà chi con orgoglio dirà «Io c’ero» e chi, con scetticismo e fuori dal coro, «Io non c’ero». Noi non diamo giudizi ma preferiamo accomiatarci da Expo con due ricordi, due storie emblematiche sulle quali è e sarà difficile trovare il coraggio per dissentire. Entrambe nascono in Piemonte e si sono riversate in Expo, in sintonia con l’alimentazione. La prima è una fiaba-verità ideata da Giuseppe Ferraris e da «Liberi di scegliere», onlus vercellese presieduta da Adriano Greppi per assistere famiglie di ragazzi diversamente abili. A Expo hanno presentato un libro dal titolo «Fiabe di riso» e un cartone animato tradotti e doppiati in spagnolo, inglese e russo, testi di Mauro Ginestrone, disegni di Claudia Ferraris, animazioni di Massimo Brunoro e Greta Castiglioni, musiche di Sandro Marrocu. E’ la storia del chicco di riso che racconta la sua vita, dalla semina sino al piatto.
L’altro «storytelling» invece racconta l’iniziativa delle «Conserve di carattere» di Lara Ponti (acetificio omonimo nel Novarese) che in collaborazione con «Quelli del sabato» hanno realizzato un’impresa in cucina: 14 persone diversamente abili, insieme a tre chef, hanno inventato quattordici conserve personalizzate, prodotte da Ponti in edizione limitata. Il messaggio: conservare le diversità per preservare le differenze come ricchezza umana.
Pensiamo che queste due testimonianze, unite a altri innumerevoli esempi incontati nei padiglioni, rappresentino il «sentiment» più autentico di Expo e la ragione stessa di questo viaggio sul Pianeta Terra durato 184 giorni.
Si faccia avanti chi non è d’accordo.
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