E’ riso del futuro se supera gli stress-test

E’ riso del futuro se supera gli stress-test

di Gianfranco Quaglia

Dai campi sperimentali del Centro ricerche Ente Nazionale Risi di Castello d’Agogna (Pavia) alle risaie della Bassa novarese. Così nasce il riso del futuro. Filip Haxhari, dirigente del Dipartimento di miglioramento genetico, punta sulle prove in atto a Borgolavezzaro (Novara), nell’azienda agricola di Elena Lovati, i cui terreni molto sabbiosi offrono un banco di prova da condizioni estreme. In altre parole: le condizioni ideali per uno “stress test” che serve per valutare i risultati.

Haxhari, albanese d’origine, italianizzato da tempo, cominciò a dirigere l’Istituto di ricerca sul riso nel paese delle Aquile, approfondì gli studi in Cina e Corea, poi fu chiamato in Italia. Dopo una notevole esperienza alla Sa.Pi.Se. (Sardo-Piemontese-Sementi) di Sali Vercellese (dove contribuì a costituire Venere, il primo riso nero in Italia), è diventato responsabile del dipartimento di miglioramento genetico del Centro Ricerche Ente Risi, che detiene anche il primato europeo di custodia dei risi antichi, la banca del germoplasma, con circa 1500 varietà antiche (la più remota è il Bertone, risale al 1819).

“Noi non vogliamo andare controcorrente – sottolinea – o creare soltanto novità. Non è sufficiente raggiungere l’obiettivo del diverso, serve un diverso migliore, in grado di soddisfare le esigenze del mercato, in una parola il consumatore. Ad esempio stiamo cercando – e siamo sulla buona strada – di arrivare a un tipo di riso tondo cristallino, in grado di competere con la concorrenza spietata che arriva dal Sudest asiatico e si afferma nel Nord Europa”. La grande battaglia contro l’invasione del prodotto cambogiano e birmano, l’Italia (Ente Risi in testa) l’ha vinta ottenendo dall’Ue l’applicazione della cosiddetta clausola di salvaguardia, che ha frenato l’import nell’area comunitaria togliendo a quei paesi il benefit del dazio zero. Ma il regolamento scadrà a gennaio 2022 e non si sa ancora se sarà prorogato. In ogni caso la ricerca deve giocare il suo ruolo, offrendo all’agricoltura un’alternativa valida, una carta che possa competere con prodotti concorrenziali.

Haxhari ha individuato nei terreni dell’azienda agricola “La Cavallina” di Elena Lovati, a Borgolavezzaro, le situazioni ottimali. “Sono terreni molto selettivi. – osserva – La selezione genetica deve essere sviluppata in ambienti disagiati, a volte in condizioni estreme. Il suolo sabbioso risponde alle nostre esigenze”. Traduzione: difficoltà di coltivazione che l’azienda ha saputo superare con professionalità (qui si coltiva anche il riso da sushi), ma anche esercizio di sopravvivenza per le stesse linee genetiche. Sono circa trentamila, monitorate giorno per giorno. Un 30 per cento, mediamente, supera il test. I dati vengono poi confrontati con quelli provenienti da altre aree. Le pianticelle che supereranno tutte le prove entreranno in un’ulteriore fase, ancora più restrittiva e stressante. Haxhari si avvale anche del “fitotrone”, una grande culla termica artificiale realizzata al Centro Ricerche che supera la cosiddetta coltivazione in controtendenza stagionale: prima di allora il riso in prova coltivato in Italia era mandato in un altro emisfero (soprattutto in Sudamerica) per essere riseminato e poi riportato a casa.

Questa ricerca è interamente guidata da un altro obiettivo: “Vogliamo fare leva sulla qualità. Abbiamo avviato un’indagine microscopica sul chicco, insieme con il Politecnico di Torino, proprio per capire qual è il segreto dell’identità nazionale. Sarà un punto di forza per promuovere il nostro riso, considerato il migliore del mondo”.borgolavezzaro

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