Dietro i numeri del riso una Bruxelles sorda e bizantina

di Gianfranco Quaglia

Ormai è una guerra di cifre quella che si sta combattendo a distanza tra i risicoltori italiani e Bruxelles. Un balletto di numeri dietro cui si nasconde da una parte l’ottusità di una burocrazia europea che evita di affrontare il tema in profondità, dall’altra la realtà di un settore costretto a subire la concorrenza dai Paesi meno avanzati, favoriti nell’esportazione a dazio zero.
Da un anno l’Italia si batte per convincere la Commissione europea che in particolare la Cambogia riversa sull’Ue una valanga di riso tale da vanificare la produzione Made in Italy, oltre a quella degli altri paesi produttori. Tutto inutile: i vertici di Bruxelles hanno sempre ribattuto che i numeri non sono quelli e che non sussistono i presupposti per introdurre la clausola di salvaguardia chiesta dall’Italia, lo scudo per fermare l’invasione asiatica. Insomma, che non si può tornare sui passi di accordi già sottoscritti in passato con i Paesi meno avanzati. Ma negli ultimi giorni, di fronte alle pressioni arrivate dall’Italia (Ente nazionale Risi in testa) la Commissione ha rivisto in parte le sue posizioni, evidenziando un aumento complessivo del 16,5% della richiesta di certificati di importazione per la campagna 2013-2014, con la Cambogia che si conferma tra i maggiori esportatori e che l’import dai Pma è in aumento. Questa volta, pensano i risicoltori italiani, Bruxelles ha dovuto ammettere che siamo dalla parte della ragione.
Non è proprio così. La Commissione riconosce la tesi dell’Italia, ma aggiunge: tutto vero, però il volume del riso importato dal Sudest asiatico sostituisce quello proveniente da altri paesi. Poi arriva a considerare, anzi a preoccuparsi dell’aumento delle importazioni delle rotture di riso utilizzate per produrre mangimi per animali domestici, al posto del prodotto europeo.
Considerazioni che fanno infuriare ancora di più il mondo del riso italiano, il quale si sente preso in giro. Non a caso l’Ente Nazionale Risi ha diramato una nota ufficiale per replicare: l’analisi evidenzia la palese contraddizione della Commissione europea, in quanto le importazioni dai PMA non si sostituiscono alle altre, ma si sommano. E poi sembra illogico che Bruxelles apra gli occhi sulle importazioni di rotture di riso e sui problemi delle industrie mangimistiche e non si preoccupi dell’import di prodotto lavorato (dove l’effetto sostitutivo non c’è stato) lasciando una filiera esposta al rischio di gravi danni.

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