Dall’aratro all’agricoltura 4.0

Dall’aratro all’agricoltura 4.0

Pubblichiamo una sintesi della relazione tenuta dal professor Pietro Piccarolo all’Accademia dei Georgofili a Firenze, dal titolo “dall’aratro all’agricoltura 4.0”. Il prof. Piccarolo è stato presidente dell’Accademia Agricoltura di Torino e ora è vicepresidente dell’Accademia dei Georgofili e presidente UNASA (Unione Nazionale Accademia Scienze Applicate). La relazione è stata tenuta in occasione della celebrazione del bicentenario della Fondazione del gabinetto scientifico letterario G.P. Vieusseux, che contribuì alla diffusione dell’aratro in Toscana.

di Pietro PiccaroloPiccarolo Pietro

L’aratro è stato introdotto nel nostro Paese nella prima metà del 1800. Doveva sostituire la vanga mantenendo la stessa capacità di dissodare e rivoltare la terra, non più utilizzando la forza dell’uomo ma impiegando quella dell’animale. In questa transizione permane però ancora il lavoro gravoso dell’uomo che, in modo continuo, deve guidare attrezzo e animale. Con l’introduzione dell’agricoltura 4.0, l’uomo programma il lavoro che le macchine vanno ad eseguire, si riduce sempre più il lavoro materiale dell’uomo e viene a prevalere quello intellettuale. Due “rivoluzioni” molto diverse che avvengono per step successivi in un arco di tempo di duecento anni ma che, comunque, hanno in comune il fatto di avere portato un profondo cambiamento nel modo di fare agricoltura.
Tra i primi studi sull’aratro merita di essere segnalata la Memoria di Thomas Jefferson, terzo Presidente degli Stati Uniti d’America (1801-1809), pubblicata a Parigi nel 1802 che ha stimolato l’interesse e la ricerca da parte di illustri Agronomi, non solo negli USA ma anche nel nord e nel centro Europa. In Italia, sotto lo stimolo di quanto avveniva oltre confine, l’interesse verso l’impiego dell’aratro in sostituzione della vanga, si sviluppa particolarmente in Toscana, dove l’aratro veniva chiamato coltro. Nel 1824 il Marchese Cosimo Ridolfi costruisce un aratro che riceve riconoscimenti anche da parte dell’Accademia dei Georgofili, Successivamente, grazie agli studi di Raffaello Lambruschini sulla migliore forma da dare al versoio e alla relativa sperimentazione condotta congiuntamente al Ridolfi, l’aratro subisce modifiche e si afferma come aratro Lambruschini-Ridolfi. Nel 1840, in occasione della seconda riunione degli scienziati italiani tenutasi a Torino, l’aratro oltre essere stato oggetto di una relazione, viene sperimentato nell’orto della Crocetta di proprietà della Reale Accademia di agricoltura di Torino, alla presenza dello stesso Cosimo Ridolfi. I risultati della prova di aratura vengono molto apprezzati e da quel momento l’arato Lambruschini-Ridolfi si afferma anche in Piemonte. Nel 1843, il piemontese Emilio Balbo Bertone di Sambuy pubblica un articolo sulla Gazzetta dell’Associazione agraria nel quale elogia l’aratro Ridolfi in quanto “svolge un lavoro di gran lunga superiore a quello dell’aratro piemontese ch’io adoperava”. Concorda con Lambruschini che la superficie curva dell’orecchio non può che essere un’elicoide cilindrica di cui però ritiene necessario un prolungamento, e apporta altre modifiche come quella di non tenere il coltello fisso al vomere. Nasceva così l’aratro Sambuy, fatto costruire nello Stabilimento di Lesegno (Mondovì) di proprietà dello stesso Sambuy. Questo aratro venne premiato nel 1843 nel Congresso Agrario di Alba. Nel 1845 Luigi Ridolfi, figlio di Cosimo, apporta modifiche all’aratro Lambruschini-Ridolfi e nel 1854 è ancora il Lambruschini che interviene per portare miglioramenti all’aratro. I risultati delle prove di campo dimostrarono che, a pressochè parità di condizioni, l’introduzione dell’aratro RIdolfi consentì di ridurre di tredici volte il tempo della lavorazione eseguito con la vanga: da 436 h/ha a 34 h/ha.
La prima macchina con la quale si cercò di sostituire la trazione animale dell’aratro con quella meccanica, fu la macchina a vapore. I primi esperimenti vennero condotti in Inghilterra già all’inizio dell’Ottocento e prevedevano la trazione diretta dell’aratro da parte di una locomotiva. In Italia Pietro Ceresa-Costa cercò di introdurre questa soluzione utilizzando una locomotiva stradale del valore di ben 15.000 lire più 1.000 lire per l’aratro trivomere; valore pari a 10 coppie di buoi. Il lavoro eseguito alla profondità di 70 cm richiedeva 15 h/ha. Questa soluzione non trovò applicazioni significative, non solo per l’elevato investimento ma anche perché le locomotive erano particolarmente pesanti creando problemi di compattamente del terreno oltre che negli spostamenti. A partire dagli anni ’30 dell’Ottocento venne introdotta la trazione funicolare con macchina a vapore. Il merito è di John Fowler di Leeds che propose l’impiego di una locomotiva fissa a bordo campo azionante un cavo, che trascinava l’attrezzo di lavoro, guidato da pulegge e carro-ancora posto sul lato opposto del campo. La soluzione di Fowler venne in seguito modificata impiegando due locomotive fisse ai lati opposti del campo. Successivamente, i fratelli James e Frederick Howard di Bedford riproposero l’idea di impiegare una sola locomotiva fissa a bordo campo che azionava una corda di trazione disposta in modo da circondare il campo. In Italia l’interesse verso la trazione funicolare con macchine a vapore si sviluppa a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Merita di essere ricordata quella di Ferretti-Fioruzzi che si rifaceva al secondo sistema Fowler, prevedendo l’impiego di due locomotive.
Sul mercato americano, i primi trattori a ruote azionati da motore a scoppio apparvero nel 1902. Nel 1922 la Ditta Bubba costruiva il trattore azionato da motore semi-diesel a testa calda. I fratelli Cassani di Treviglio, nel 1927 applicarono per primi il motore a ciclo Diesel al trattore, proponendo così la soluzione destinata a soppiantare, nel Secondo dopo guerra, il motore a benzina. Tra le innovazioni più significative introdotte nel Novecento che hanno portato all’evoluzione del trattore vanno segnalate: il sollevatore idraulico, la presa di potenza (inizialmente applicati solo posteriormente e successivamente anche anteriormente) e l’impiego crescente dell’elettronica. Il trattore, da mezzo destinato prevalentemente alla trazione e alla lavorazione del terreno, diventa generatore mobile di potenza per le diverse macchine operatrici. All’evolversi del trattore si è legato anche l’evolversi dell’intero parco macchine con un conseguente aumento della produttività del lavoro. Nella seconda metà degli anni ‘70, la prima elettronica 3.0 invade la meccanica dando luogo alla meccatronica, cioè alla combinazione meccanica-elettronica-informatica. Un’innovazione che è stata gradualmente introdotta nelle macchine agricole in generale e nel trattore in particolare.
All’inizio degli anni ‘90, sotto la spinta di ciò che avveniva negli USA, anche nel nostro Paese nasce l’interesse per l’agricoltura di precisione (AdP), che consiste nel fare una razionale gestione agronomica sul singolo appezzamento di terreno e sulla coltura considerando la loro variabilità spaziale e temporale, al fine di ridurre gli inputs (sementi, fertilizzanti prodotti chimici,,..), supportare la migliore utilizzazione delle risorse (terra, lavoro, acqua,..), e far crescere la produttività riducendo i costi. L’esercizio dell’AdP si basa su: meccatronica montata sul trattore e sulle macchine operatrici; sistemi di posizionamento geografico satellitare; reti di sensori di prossimità e in remoto di varia tipologia e Big Data; sistemi di elaborazione dati e definizione di modelli decisionali; sistemi di connettività poderale e interpoderale. L’introduzione dell’ agricoltura 4.0 è stata ed è spinta dall’industria manifatturiera. Si tratta di storia recente, in quanto è solo da una decina di anni che si sente parlare di Industria 4.0, ed anche di quarta rivoluzione industriale. In Italia il primo Piano di Industria 4.0 è del 2016. Da questa data, sempre più sono state le applicazioni di tecnologie 4.0 utilizzate dalle imprese manifatturiere. Le più avanzate prevedono l’impiego della robotica, di Internet delle cose (IoT) e dell’Intelligenza Artificiale (AI) e portano verso la transizione digitale di queste imprese che, per esprimersi al massimo della potenzialità, ha però bisogno di connessioni veloci (5G o 6G) ed anche di adeguata competenza della risorsa umana. Per attuare compiutamente l’agricoltura 4.0, occorre realizzare un modello di agricoltura, basata sui principi dell’AdP, che utilizza tecnologie digitali tra loro completamente interconnesse finalizzate a ottimizzare i processi produttivi in modo sostenibile. Nel nostro Paese le applicazioni dell’agricoltura 4.0 per le quali, oltre alla elevata connettività, è richiesta anche una adeguata formazione a vari livelli, specie per le e-skill, sono ancora limitate. E’ però indubbio che vi è una continua evoluzione verso un’automazione crescente, già attuata in alcuni comparti come quello delle colture protette e della zootecnia. Ogni anno aumenta l’interesse e crescono anche gli investimenti per la digitalizzazione dei processi produttivi. Nel 2019, secondo uno studio del Politecnico di Milano, nel nostro Paese l’investimento in agricoltura di tecnologie 4.0 sarebbe stato pari a ben 450 milioni di euro. Un trend che deve continuare a crescere se si vuole dare competitività e sostenibilità alla nostra agricoltura.

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