Cambogia, l’altra faccia del paese che ci fa la concorrenza

Cambogia, l’altra faccia del paese che ci fa la concorrenza

di Enrico Villa

risocambogiaNel suo sito, l’Ente Risi ha riproposto l’allarme per l’importazione di risi indica dalla Cambogia e dai paesi meno avanzati. Il problema assilla i risicoltori italiani e della Ue almeno da un anno. I massicci arrivi di riso, già lavorato e inscatolato, hanno condizionato i corsi di mercato squilibrando, o meglio, deprimendo pesantemente le quotazioni. Più delle sensazioni o delle percezioni parlano i nudi dati statistici. Dal luglio 2013 al luglio 2014 dalla Cambogia, il maggior paese risicolo dell’estremo oriente che – evidenziano sempre le cifre – non è quasi più un paese meno avanzato e dagli altri paesi simili sta diventando importante da un punto di vista economico e turistico, in riferimento a tutto il mondo e alle valute di maggior valore. Inoltre, la Cambogia e gli altri paesi stanno sempre più entrando nell’orbita del fondo monetario internazionale promosso a luglio dai Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) forse con l’ambizione di diventare concorrente del fondo monetario internazionale già esistente. E forse questo nuovo fondo orientale passa anche attraverso i nuovi assetti economico-politici in via di costituzione dopo la crisi ucraina.
Nella sua ultima nota l’Ente Risi, a tutela dei risicoltori italiani e europei chiede alla UE l’adozione del ricorso alle misure di salvaguardia. Il riso ( e anche altre derrate) dovrebbero nuovamente pagare all’Unione Europea i dazi doganali, così reintroducendo un motivo di equilibro alle quotazioni, senza dazi fortemente concorrenziali al riso italino ed europeo (Spagna, Francia, Grecia, Romania, Bulgaria…). L’esigenza, oltre che dalla concorrenza, riguarda anche le diverse strutture in particolare della Cambogia, che passa attraverso l’economia (Il Pil all’otto per cento) e l’incetta di land grabbing (l’acquisto massiccio di terra per aumentare, grazie ai pochi investimenti le poche persone con grandi possibilità, le produzioni agroalimenatare ad un prezzo minore).
Il fenomeno era stato evidenziato nel 2011 con un saggio da Paolo De Castro presidente uscente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo con questo titolo: Corsa alla terra, cibo e agricoltura nell’era della nuova scarsità, con prefazione dell’economista e già presidente del Consiglio dei Ministri Romano Prodi. Sia Prodi che De Castro avevano annotato che, secondo la FAO, nel 2050 saremo nove miliardi di persone e che, come evidenzierà Expo 2015, il problema di nutrire il pianeta sarà uno dei pincipali sulla Terra. Nelle scorse settimane e giorni, diverse organizzazioni internazionali, non soltanto etiche e confessionali, hanno riproposto la questione proprio muovendo dalla Cambogia. Qui, hanno operato massici acquisti di terreno da parte di undici importanti paesi (Usa, Malesia, Emirati Arabi, Regno Unito, India, Cina…) mentre hanno deciso la cessione di vaste estensioni di buona terra dieci paesi meno avanzati, compresa l’Ucraina con la vendita di un milione e mezzi di ettari che, gestiti diversamente e a costi minori, potrebbero diventare aree coltivate a grano, mais, girasole o anche riso.
In uno studio del Politecnico di Milano, comparso sulla rivista Environmental Research Letters, la ricercatrice Maria Cristina Rulli ha calcolato che in Europa il 3% dei proprietari detiene il 50% di tutte le superfici agrarie, fra l’altro modificando l’economia di scala rendendo più convenienti e a minor prezzo le produzioni, così mettendo in difficoltà i contadini e i coltivatori diretti previsti dalla Nuova Pac che non ammette deroghe per i non agricoltori e, quindi, per i contributi destinati agli imprenditori non agricoli. Anche in Cambogia sta accadendo che il 70% dei terreni arabili è dato in concessione a privati con grandi possibilità finanziarie e con due risultati negativi: la scomparsa di due milioni di coltivatori autoctoni (coltivatori diretti) e di riso senza dazi e rispetto di regole agronomiche che in Occidente diventano una concorrenza insostenibile. Ecco perché l’Ue deve intervenire, ripristinando la clausola di salvaguardia.

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