Bacini e invasi d’acqua non siano soltanto un fiume di parole

di Gianfranco Quaglia

La “guerra dell’acqua” che la siccità ha scatenato nella pianura padana con il rimpallo di responsabilità, gli appelli e le accuse reciproche, contiene tutti gli elementi per definire questo “conflitto” casalingo una “guerra tra poveri”? Proprio no. Perché sul piatto della bilancia ci sono interessi economici importanti e enormi, che coinvolgono il mondo agricolo e quello industriale. Ma riguardano un po’ tutti, città e paesi, la sicurezza idropotabile ed energetica. Il recente appello lanciato dal presidente degli industriali risieri a Cingolani, ministro della transizione ecologica, invitato a non ridurre i prelievi dal Po (azione che andrebbe a scapito della risaia) per evitare la risalita del cuneo salino in Veneto, ci dice che siamo in presenza di rischi e pericoli che non possono essere rubricati come stereotipi.

Distopiche, cioè quasi immaginarie e utopiche, sono invece le condizioni e le aspettative che tutta la filiera dell’agroalimentare (in particolare quella risicola) si prefigura per un futuro quasi immediato. Un mondo contrassegnato da dighe, bacini, piccoli invasi di raccolta dell’acqua piovana (in Italia se ne disperdono 300 miliardi di metri cubi l’anno) che sfuggono al controllo, ma potrebbero costituire una cassaforte naturale cui attingere nei momenti di estrema difficoltà come in questa estate 2022. Da troppo tempo consorzi irrigui, operatori e agricoltori, invocano queste opere. Ma è giunto il momento di crederci: adesso al riconoscimento di stato d’emergenza e alla nomina di un commissario ad acta devono seguire immediati interventi. Viceversa, ancora una volta, l’estate si porterà via la siccità con un fiume di promesse e parole inutili. 

 

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