Agricoltura sociale; primo master in Italia

Agricoltura sociale; primo master in Italia

di Enrico Villa

agricolturasocialeIl 22 febbraio, meno di un mese fa, all’Università romana di Tor Vergata è incominciato il primo master in Italia di agricoltura sociale, dove dai campi e dalla tradizione solidaristica della civiltà contadina, si passa al welfare. In 400 ore di lezioni e seminari, articolati in otto sezioni, un quarantina di giovani universitari impareranno come si può passare dalle aziende agricole alla loro multifunzionalità, fatta di lavoro garantito ai disabili o di diversamente abili, aggiungendo le lezioni destinate alle scuole per spiegare agli alunni che cosa, in realtà, sia l’attività fra le più antiche del mondo perché, da sempre, garantisce il cibo all’umanità. Il passaggio dalla agricoltura, disciplina prettamente economica, alla solidarietà che richiede cultura e specializzazione, postula una formazione generale psicologica, di medicina di base, in fatto di riabilitazione. Prima la Coldiretti, in questo contesto ha affrontato il problema complesso delle imprese agricole da trasformare in scuole, in asili nido e scuole dell’infanzia, in luoghi protetti destinati agli anziani i quali non intendano abbandonare del tutto gli anni del loro lavoro. Ma nei forum in Italia dedicati alla agricoltura sociale anche Mario Guidi, presidente di Confagricoltura, ha garantito: per tutto il 2016, la mia organizzazione farà iniziative che riguardino la traduzione pratica delle aziende agricole in agricoltura sociale.

 

Strumento di inclusione

Questa “nuova specializzazione” nell’ambito delle aziende che puntino alla multifunzionalità, si sta intrecciando con un altro contesto adesso molto importante e che anche genera critiche per incoerenza nei bandi nel mondo agricolo: i piani di sviluppo rurale i quali anche in Italia, come del resto nei 28 partner dell’Unione Europea, dovrebbero essere attuati nel periodo 2014-2020 collateralmente al nuovo piano agricolo comunitario. Ancora recentemente, negli ultimi convegni in occasione di Expo 2015, il ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina ha fatto notare: L’agricoltura sociale è un concreto strumento di riabilitazione ed inclusione, non soltanto una opportunità economica. Questo per dire che – è sempre Martina che lo rileva- abbiamo rimesso al centro la tutela della persona e della sua dignità. E il vice ministro delle Politiche agricole Andrea Olivero in diversi convegni nel nostro Paese dedicati alla agricoltura sociale ottimisticamente ha fatto notare: sono convinto che questa legge (sulla agricoltura sociale, ndr) aiuterà l’intero comparto agricolo a crescere nella sostenibilità economica, ambientale e soprattutto sociale.

 

Una legge in rodaggio

La legge cui anche Martina e Olivero fanno riferimento ha meno di un anno, essendo così ancora in rodaggio. E’ la legge 141/2015, presentata dal parlamentare torinese Massimo Fiorio e nel nostro Paese in vigore dal 22 settembre, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale l’8 settembre. Nella sua nota esplicativa il ministero delle Politiche Agricole evidenzia quattro punti, assegnando molto spazio alle amministrazioni regionali: 1) inserimento in azienda di lavoratori svantaggiati, anche avendo presente la formazione dei minori; 2) prestazioni e attività sociali a favore delle comunità territoriali; 3) servizi terapeutici anche attraverso l’ausilio di animali e coltivazione delle piante; 4) educazione ambientale e alimentare, con la salvaguardia della biodiversità animale, anche attraverso l’organizzazione di fattorie sociali e didattiche. Fra i commenti anche registrati nel convegno di presentazione del primo master alla Università di Tor Vergata, il seguente: sia la legge Fiorio che la sua ratio per ora sono uniche in Europa e per la Comunità Europea sono un valido riferimento che, alla fine, riguarderà 500 milioni di europei anche consumatori, dunque con la necessità di imparare a riconoscere fin dalla adolescenza tutto sugli alimenti provenienti dall’agricoltura e destinati, in particolare, alla grande distribuzione. Anche secondo le ricerche effettuate dall’Inea, i primi passi in Italia della agricoltura sociale furono compiuti da cooperative negli anni settanta del Novecento. A modello, ma solo per la formazione dei minori in relazione alla agricoltura, furono assunti gli esempi in diversi paesi del Nord Europa. Negli ultimi anni da noi prese il sopravvento la impostazione delle società cooperative che gestiscono centri d recupero degli affetti dall’’alcolismo e delle droghe. Questi stessi centri sono diventati aziende che combattono le droghe attraverso il lavoro aziendale cui si applicano gli ospiti da recuperare. Un degli esempi più citati e coerente con lo spirito della Legge 141/2015, è la Comunità di San Patrignano a Coriano. Il fondatore Vincenzo Muccioli trent’annni fa incominciò con un podere impostato sull’allevamento. Il suo ottenimento aveva tutte le caratteristiche per trasformarsi in terapia di recupero. Muccioli nel 1978 trasformò la comunità di San Patrignano in una vera e propria azienda agricola multifunzionale con produzioni agricole, allevamento e tate per i figli degli ospiti (circa 1.500) in grado di dare indicazioni alle tate che, previo corso di formazione del personale addetto, stanno sorgendo nel nostro Paese. Ogni giorno, i 300 e più addetti alla Comunità di San Patrignano (fra cui soggetti lavoratori da recuperare terapeuticamente) assicurano il funzionamento dell’azienda agricola connessa. La legge sull’agricoltura sociale, nei prossimi anni dovrebbe rendere possibili efficienti aziende mutifunzionali come San Patrignano dove, con gli opportuni cambiamenti, andranno ad operare gli studenti del primo master dedicato alla agricoltura sociale dell’Università di Roma Tor Vergata.

 

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