Un roseto per Cristina

di Gianfranco Quaglia

La voce s’incrina, tradita dalla commozione. E’ quella di Corrado Canfora, già Procuratore capo della Repubblica di Novara, all’epoca dei fatti (1975) giovane Pubblico Ministero al processo nei confronti dei rapitori di Cristina Mazzotti. Chiese 10 ergastoli, i giudici della Corte d’Assise di Novara ne comminarono otto, oltre a due condanne a 30 anni. Una maxi-sentenza record, mai pronunciata prima in Italia. Canfora parla di quegli aguzzini, per i quali ebbe ed ha parole dure (criminali, malvagi, disumani). Il repertorio degli aggettivi non ne contiene di peggiori, altrimenti vi avrebbe fatto ricorso. Rivive quei giorni, la prigione, anzi una fossa scavata in un cascinale di Castelletto Ticino, dove Cristina, diciottenne, studentessa come gli allievi dell’Istituto agrario Bonfantini di Novara che stanno ascoltando la rievocazione di questa tragica vicenda, venne tenuta un mese. Prima di essere annientata da stenti, sedativi ed eccitanti, poi gettata come rifiuto in una discarica. L’avevano sequestrata la notte del 30 giugno, nel Comasco. I rapitori abbordarono l’auto su cui viaggiava con il fidanzato e un’altra coppia di amici. “Chi di voi è Cristina Mazzotti?”. Lei capì subito quale sarebbe stato il seguito di quella serata, ma non esitò a dichiararsi, per mettere al riparo gli altri. La portarono nella “buca” in provincia di Novara, lunga poco meno di due metri, profonda 1,45 (l’ostaggio era alto 1,62). Uno spioncino largo 5 centimetri per l’aria, se così si poteva chiamare. Rannicchiata per un mese, alimentata solo con qualche panino. Sequestro pianificato in Calabria dalla ‘ndrangheta, con un braccio lungo nel Nord-Italia. La famiglia pagò il riscatto, un miliardo e 100 milioni, senza sapere che la figlia era già morta, gettata nella discarica del Varallino a Galliate. Mesi dopo il padre morì di crepacuore. “La mia famiglia non ha mai cercato vendetta, solo giustizia” dice con serenità Arianna Mazzotti, nipote di Cristina, presidente della Fondazione intitolata alla zia. A distanza di 46 anni arrivano anche un omaggio e un tributo dalla terra dove si consumò la tragedia: uno splendido roseto, creato dagli allievi e insegnanti dell’Istituto agrario, dove si è svolto un convegno su idea della professoressa Gabriella Colla, referente per l’educazione alla legalità.

 

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