Noi siamo Bruxelles

di Gianfranco Quaglia

Je suis, nous sommes Bruxelles. Io sono, noi siamo Bruxelles. Lo siamo tutti noi popolo dei campi d’Europa, che da anni, ogni giorno, abbiamo un rapporto di odio-amore con la capitale d’Europa, perché su Bruxelles convergono le delusioni, le speranze, le proteste dei lavoratori della terra, di quella terra bassa che costringe a piegare la schiena  e alzare lo sguardo fiero e dignitoso, con le carte in regola per rivendicare il riconoscimento dei propri diritti. La gente dei campi, dalla Galizia alla Provenza e alla Pianura Padana, dalla Renania alla Transilvania, non si trincera dietro il disegno dei confini, ma è univoca quando è chiamata a difendere il frutto della fatica. E lo fa portando la protesta proprio a Bruxelles, con le marce dei trattori, distribuendo il latte davanti al Parlamento, regalando attimi di genuina ruralità sulle piazze. Alza il pugno e la voce contro il Palazzo, ma subito dopo dialoga con le istituzioni europee per districarsi nel labirinto di alcune sigle che significano sopravvivenza o futuro dell’agricoltura: Pac, Psr, Ocm, Ttip, Dop. In mezzo al popolusimo e all’antieuropeismo dilaganti nessuno più degli agricoltori ha un rapporto diretto e viscerale con la capitale d’Europa, benché con sfumature diverse, talune impulsive e spicce, ma sempre sincere e aperte. Ecco perché ora, dopo gli ultimi tragici episodi, la gente dei campi può dire a voce alta: giù le mani da Bruxelles. Se c’è un appunto da muovere spetta soltanto a noi, perché abbiamo le credenziali e la titolarità. Giù le mani dal cuore della nostra Europa, che ci appartiene e  difenderemo a ogni costo.

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