La grande sete del riso italiano sul Washington Post

La grande sete del riso italiano sul Washington Post

di Gianfranco Quaglia

Non è irrilevante che uno dei maggiori giornali del mondo, “The Washington Post”, decida di spedire due suoi inviati nei campi di riso del Piemonte per raccontare la siccità che sta colpendo la produzione. E’ accaduto nei giorni scorsi quando Fabrizio Rizzotti, titolare dell’azienda agricola “La Fornace” di Vespolate (NO), si è visto arrivare nel cortile dell’azienda due giornalisti, Chico Harlan e Stefano Pitrelli, incaricati di realizzare un reportage. Rizzotti, presidente di Agrimercato e Campagna Amica di Coldiretti Novara Vco, è stato scelto per questo servizio giornalistico che ha voluto sottolineare il difficile momento attraversato dalla risicoltura italiana stretta fra i costi di produzione seguiti alla guerra in Ucraina e la siccità che non ha consentito una normale annata agraria. Alla “Fornace” si coltivano alcune fra le varietà più tipiche del made in Italy, a cominciare dal Carnaroli. Ma anche Artiglio, appartenente alla famiglia degli Indica, che vanta una lunga storia partita dall’Africa e approdata nelle pianure novaresi. Infine il Razza 77, altra varietà riscoperta dopo anni di abbandono. Il servizio giornalistico è ricco di particolari e corredato da immagini e riferimenti infografici, come la cartina con l’indicazione Vespolate tra Milan e Turin.

Scrive fra l’altro il “Washington Post”: “C’era stato un solo giorno di buone precipitazioni durante tutto l’anno, la temperatura pomeridiana era di nuovo vicina ai 100 gradi (fahrenheit) e Fabrizio Rizzotti è entrato nei suoi campi: 220 acri di riso, una pianta che cresce essendo immersa nell’acqua. Non aveva bisogno dei suoi stivali. Gli steli di riso erano essiccati e rachitici. Il campo, piuttosto che rigoglioso di acqua alta fino agli stinchi, scricchiolava sotto i piedi. Rizzotti, un coltivatore di riso di settima generazione, ha detto che la risaia era già morta – “da questo non può venire un solo chicco di riso”, – e poi ha indicato un campo adiacente, leggermente più verde e che ha un disperato bisogno di più acqua. Tra pochi giorni anche quel campo sarà morto. Mi viene lo stomaco in gola.”

Ancora: “Meno riso significherà un risotto più costoso”, ha detto Rizzotti.

Il “reportage” passa poi in rassegna l’azienda di Rizzotti, gli impianti di trasformazione del cereale. Infine i giornalisti del “Washington” hanno voluto toccare con mano, anzi con il palato, il risotto made in Italy, cucinato da due esponenti della cucina locale: Claudia Fonio dell’agriturismo “Al Pum Rus” di Sozzago, e Marta Grassi, del ristorante Tantris a Novara. Due approcci diversi per esaltare il cereale, la cui produzione rischia di essere ora fortemente compromessa. Fabrizio Rizzotti, come tanti suoi colleghi, in questa estate torrida e avara di acqua è in trincea nel tentativo di evitare questa conclusione.

Nella foto (da acquaverde.it): Fabrizio Rizzotti

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