La carica dei Pat: il caso del formaggio made in balma

La carica dei Pat: il caso del formaggio made in balma

di Enrico Villa

Il formaggio made in balma, prodotto al di sopra dei 600 metri, è stato riconosciuto dall’Unione Europea fin dal 2012 con il regolamento 1451/26, sottolineando l’importanza dei caseifici che utilizzano latte vaccino e ovino nelle montagne dei 27 partner comunitari. In questo “marchio“, con un valore non ancora del tutto legale e tema di analisi e disquisizioni dei giuristi agrari e dei consumi, debbono in realtà essere annoverati i Pat (prodotti agroalimentari territoriali) che in Piemonte, regione fra le principali in fatto di produzioni di latticini, sono all’incirca una ottantina cui aggiungere i 9 formaggi dop (grana, gorgonzola eccetera…).

Alcuni Pat sono stati oggetto di dibattito a Oropa durante l’ultima festa annuale di San Bartolomeo. Non solo. In Italia, patria dei formaggi territoriali (caciocavallo, mozzarelle e altri) le decine di Pat fiancheggiano gli oltre trecento formaggi nobili(dop e IGP) secondo gli ultimi censimenti del sito Formaggio.It nonché le pubblicazioni dei padovani Alberto Marcodini e Antonio Ferrero. Inoltre, stando ai lavori e alle sedute dell’Onaf (assaggiatori di formaggi, costituita nel 1989) gli Italiani, più degli altri paesi della Ue, sono forti consumatori dell’alimento. Il Clan emiliano, consorzio che quotidianamente segue in Italia e nel mondo il comparto lattiero-caseario, il consumo pro capite di formaggio si aggira sui 18 chilogrammi. E alcuni chilogrammi dei Pat irrobustiscono le cifre statistiche, specchio veritiero di una economia in deciso sviluppo, sia per l’esportazione che per il consumo interno.

Ma anche quest’anno una visione vicina al reale di questo specifico comparto dei Pat il 7, 8, 9 settembre si è avuta ad Asiago, nel cuore delle Alpi orientali dove da alcuni anni ha luogo la rassegna dedicata al formaggio in balma, cioè prodotto nei caseifici montani anche favorevole alla tutela dell’equilibrio del territorio, grazie alla permanenza dei valligiani e all’allevamento del bestiame bovino, ovino e caprino. Qui – è noto – si produce l’Asiago (dop) la cui produzione negli ultimi anni è aumentata di circa il 32%, evidenziando la sua importanza alimentare, appunto collaterale ai formaggi made in balma che talvolta mettono a disposizione prodotti quasi introvabili nonché sconosciuti ai più. Il senso della rassegna di Asiago, il cui altipiano è diventato molto importante nel centenario della prima guerra mondiale, è in realtà questa: anche il made in balma, come ultimamente è stato per pasta e riso, deve diventare una specialità territoriale, riportando sulle etichette di vendita tanto di scritta precisa. Non soltanto i prodotti di montagna e di balma saranno i formaggi prodotti nei caseifici montani, al di sopra dei 600 metri, ma anche il miele e alcune produzioni vegetali. Per le arnie e le api la clausola da far valere è questa: gli insetti debbono assorbire il nettare ricavato dai fiori nei pascoli di montagna dove anche si nutrono gli animali di allevamento. Le prime specificazioni in questo senso, poi seguite da numerose amministrazioni regionali, sono avvenute in Lombardia dove le sue montagne sono ricche di allevamenti e di caseifici che offrono ai consumatori rinomati made in balma.

Tuttavia, un marchio di affezione ma senza reale valore giuridico non sarebbe bastato per tutelare il latte e la carne di montagna come le bresaole, o anche il miele. Conseguentemente, il dibattito sul made in balma, come già accennato indicato quattro anni fa dalla Ue, è approdato alla Conferenza Stato-Regioni che, dopo un ulteriore esame, ha approvato un decreto ministeriale in attuazione delle indicazioni della normativa comunitaria con questa specificazione: per l’utilizzo dell’indicazione facoltativa di qualità “prodotto di montagna“. Tramite l’Ufficio Stampa ministeriale sia il ministro Maurizio Martina che il viceministro Andrea Olivero hanno precisato quale sia il significato concreto del decreto sui prodotti di montagna cui dovrà attenersi il settore alpino italiano: sui prodotti di origine animale; sui prodotti di origine vegetale e dell’apicoltura; sugli ingredienti utilizzati; sugli impianti di trasformazione. In ogni caso tutto deve essere trasformato in montagna per almeno un quarto, mentre i mangimi impiegati non devono superare il 75% per i suini, diventando il 40% per i ruminanti. Una scappatoia nel decreto potrebbe essere rappresentato da animali che vengono nutriti in pianura, con la transumanza poi trasferiti in montagna oltre i 600 metri. Tutto è prescritto in montagna per i vegetali e per le api, mentre il limite per erbe, spezie e zucchero utilizzati per le lavorazioni non deve oltrepassare il 50%. Inoltre gli impianti di trasformazione devono essere situati non oltre 30 chilometri dal confine amministrativo della zona di montagna, e i caseifici anche per la lavorazione dei Pat non devono essere distanti più di dieci chilometri dalle zone di montagna. Con questi parametri – è il commento del ministero delle politiche agricole – è premiata la trasparenza di chi produce qualità ed è il primo passo per tutelare le scelte dei consumatori e per sostenere l’attività economica virtuosa che l’Italia esprime. Su questa strada siamo decisi a continuare con determinazione. E quindi prossimamente a conferire valore giuridico pieno al made in balma.

pat

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