Italia prima in Europa per comunità di agricoltura sociale

Italia prima in Europa per comunità di agricoltura sociale

di Enrico Villa

Nei mesi memorabili di Expo 2015 il Parlamento Italiano varò, dopo anni di perplessità e discussioni, la Legge 18/08/2015 che fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica con il numero 41. Il dispositivo legislativo, oggi più che mai attuale, colmò una lacuna che dovrebbe avviare un cambiamento nelle aree rurali del nostro Paese, anche semplificando il ruolo delle società cooperative, affidando loro una funzione basilare nonché aprire spazi un tempo sconosciuti alla multifunzionalità agricola ( produzioni tradizionali più altre incombenze produttive) che collocano accano al comparto tradizionale del settore primario ambiti i quali hanno una spiccata valenza sociale: giustizia in relazione ai contratti di lavoro, responsabilità sociale, formazione professionale in relazione alla prima età e alla assistenza alla vecchiaia oltre alla pensione, integrazione degli immigrati.

La legge che nel 2016 stava muovendo i primi passi avvalendosi dei decreti delegati di applicazione non tutti emanati, fu salutata positivamente sia dal ministro delle politiche agricole Maurizio Martina che dal vice ministro agricolo Andrea Oliviero i quali sottolinearono il lavoro intenso della commissione parlamentare presieduta dall’onorevole Massimo Fiorio. Come evidenziò in un suo report periodico l’Ismea, lo spirito contenuto nelle norme della Legge 2015 in termini più moderni codificarono temporaneamente un ritorno al film L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi e alla solidarietà sociale delle nostre campagne anche così “ben fotografata” dalla inchiesta agraria nella seconda parte dell’Ottocento di Stefano Jacini. Nel contesto della stessa Legge 2015/41 vanno considerate le agritate e gli agrichef proposti dalla Coltivatori Diretti. Imponendo una formazione specifica pedagogica e psicologia della durata di 400 ore per le agritate, la Regione Piemonte ha recentemente deliberato un rifinanziamento che era stato avviato nel 2012 e che ha dato buoni risultati. Le più adatte aziende agricole anche della area di risaia con le agritata ben preparate, saranno trasformate in asili nido stimolando l’avvicinamento alla campagna dei piccoli minori che li frequentano.

Anche l’Istituto Nazionale di Economia Agraria in uno studio recente ha analizzato a quali risultati porterà nel tempo la applicazione della Legge 2015/41. Riprendendo la dizione inglese Social Framing o Care Farming, i ricercatori Francesca Giarè e Stefano Trione hanno quantificato, o stimato, le aziende che per ora contribuiranno con la multifunzionalità a mutare, in parte, la campagna italiana: fra le 1000 e le 2000 aziende (523 società cooperative) con la preminenza della Toscana, del Piemonte e delle zone centro-meridionali. I due ricercatori riassumono in questo modo il significato, in relazione al territorio, della Legge 2015 e dei propositi dei legislatori: dalle funzioni ambientali e paesaggistiche a quelle turistico-ricreative, da quelle culturali e didattico-educative a quelle terapeutiche e riabilitative. Sia in Italia che nella Europa UE, l’esperienza medico-clinica di questi anni ha fatto constatare come l’ambito rurale possa giovare nella cura di talune patologie e come possa aiutare nel reinserimento di ammalati disabili. Ma questi obbiettivi potranno essere facilmente conseguiti quando, grazie a tutti decreti di attuazione, le aziende potranno concretamente beneficiare della Legge e tutte saranno in gradi di fruire dei finanziamenti come nel 2016 hanno già fatto la Sardegna (30 milioni di euro), l’Abruzzo (10 milioni di euro), la Toscana (15 milioni di euro). Le finanze regionali, come in alcuni casi è stato fatto, potranno erogare contributi alle diverse società che praticano agricoltura sociale da un minimo fra 15.000 a 50.000 euro.

In Europa comunitaria e anche in paesi che non hanno ancora aderito ai Trattati di Roma, i precedenti storici della agricoltura sociale sono molto importanti. Nella seconda parte del 1700, gli inglesi istituirono a York un ospizio, in parte basato sul lavoro agricolo, e riservato alla popolazione indigente. Nell’Ottocento alla agricoltura anche in grado di affrontare e risolvere i problemi sociali della popolazione povera dimostrò sensibilità il Belgio. E fu fondata la Comunità Rurale di Glee vicino ad Anversa. Nello stesso secolo in Francia fu istituita la Comunità Agricola di Clemont Ferrand. In Italia bisognerà attendere fino agli anni Settanta del Novecento per l’arrivo delle prime fattorie di agricoltura sociale specializzate in orticoltura e nella coltivazione di piccoli frutti, funghi, viticoltura, anche zootecnia. Il numero di queste stesse fattorie di agricoltura sociale crebbe quando in Italia si affrontò il problema delle droghe che coinvolgeva i giovani e che spinse gruppi laici e religiosi a costituire aziende comunitarie per la rieducazione. San Patrignano in Emilia è uno degli esempi che risale al 1978. In questa specifica Care Farming, oltre alla rieducazione e al recupero, come in qualsiasi azienda agricola si producono vini, latticini curando, inoltre, la zootecnia di eccellenza come l’equitazione.

Oggi in tutta l’area europea comprendendo anche la Slovenia, le comunità di agricoltura sociale sono circa 4.300 in Francia, Germania, Irlanda, Olanda, Gran Bretagna, Norvegia. Con oltre 796 comunità, l’Italia è al primo posto. La Legge n.141 del 18/8/2015 con gli opportuni finanziamenti statali e regionali aprirà sicuramente ad una agricoltura moderna in grado di coniugare la tecnica avanzata con la socialità come dovrebbe sempre essere negli anni Duemila. Il piano di sviluppo sociale 2013/2020 della Politica Agricola Comune (Pac) con la emissione dei suoi previsti bandi regionali dovrebbe migliorare ulteriormente le prospettive del settore primario.

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