“Il bosco, la via maestra che può cambiare la nostra vita e salvarci”

“Il bosco, la via maestra che può cambiare la nostra vita e salvarci”

di Gianfranco Quaglia

La pandemia del Coronavirus ci ha cambiato la vita. A prescindere dalle polemiche sulla responsabilità delle origini, un aspetto sul quale molti concordano riguarda il “climate change” e la natura depredata. In particolare la deforestazione. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Alessandra Stefani, direttrice generale della Direzione delle Foreste del Ministero Politiche Agricole e già vicecomandante generale del Corpo Forestale, con una intensa esperienza sul territorio, dove è stata alla guida a Novara e in Piemonte.

Qual è la sua opinione maturata dal suo osservatorio privilegiato di Direttore Generale delle Foreste?

“Il tema della deforestazione a livello mondiale è effettivamente particolarmente preoccupante, anche se i dati degli ultimi 5 anni mostrano una tendenza al decremento nella percentuale di scomparsa delle foreste. I maggiori tassi di sparizione riguardano purtroppo le foreste tropicali, molte delle quali primigenie, situate in America meridionale e nell’Africa centrale. In controtendenza, le aree forestali in Europa, ed anche in Italia, che segnano un’avanzata progressiva dagli anni ’70 del secolo scorso a oggi, come più in generale le foreste temperate. Le foreste, che costituiscono un efficace strumento di mitigazione dei cambiamenti climatici, sono a loro volta estremamente sensibili ad essi e perciò vulnerabili. Infatti subiscono esse stesse alcune conseguenze, che potrei distinguere tra loro in due grandi categorie, che potrei chiamare di tipo “ endogeno”, poichè la composizione delle specie forestali si modifica verso compagini più in sintonia con il clima, il limite altitudinale delle specie si innalza nelle zone montane, per esempio nelle Alpi, e specie meridionali si spingono verso Nord; ed altre che potrei chiamare di tipo “esogeno” , poiché i boschi subiscono gli effetti indiretti dei cambiamenti climatici: le modificate condizioni di distribuzione della piovosità, le alte temperature di alcune serie di giornate mai verificatesi prima, l’intensità dei venti, le aumentate condizioni predisponenti agli incendi provocano estesi schianti (si veda quanto successo nel Triveneto sul finire del 2018 a seguito della tempesta Vaia) , incendi boschivi molto virulenti e perduranti per settimane ; accresciuta virulenza degli organismi fitopatogeni…

La correlazione diretta tra tutti questi fenomeni ed il verificarsi della pandemia da Covid-19 è tutta da dimostrare. Non di meno, possiamo essere certi che un arresto dei tassi di deforestazione mondiale arreca benefici all’ecosistema terrestre ed alla salute e benessere dei suoi abitanti tutti, compresa la specie umana”.

Due studi, uno dell’Università di Standford, l’altro dell’Università della California di Davis, ci dicono che i virus saranno sempre più diffusi sino a quando l’uomo continuerà a trasformare gli habitat naturali in terreni agricoli. I virus infatti si trasmettono dagli animali all’uomo, determinando il cosiddetto “spillover”. Politiche più responsabili e consapevoli potrebbero riportare a un giusto mix tra agricoltura, foreste, cementificazione e difesa del suolo?

“Il contemperamento dinamico tra il soddisfacimento di diversi bisogni umani (cibo per tutti, aria ed acqua pulite, spazi per la ricreazione, tutela della biodiversità, conservazione dei paesaggi, per elencarne solo alcuni) nella conservazione degli equilibri naturali, alcuni dei quali ancora ben lungi dall’essere chiari agli scienziati contemporanei, si basa su scelte etiche di fondo e l’attitudine ad uno “sguardo lungo”, per il benessere delle generazioni future, oltre che di quelle presenti. Abbiamo esempi di inversioni di tendenza (in tema di tutela delle acque da schiume tossiche, in tema di buco dell’ozono) che ci fanno nutrire fiducia sulle capacità di resistenza e resilienza degli ecosistemi terrestri e sulla capacità del genere umano di mettere in atto meccanismi virtuosi dettati dalla consapevolezza dei pericoli che corriamo. Non si deve mai smettere di pensare a come fare di più e meglio, e a come diminuire l’impronta ecologica di ciascuno”.

La pandemia servirà a farci riflettere tutti e puntare su un futuro che attinga al passato?

“In tanti, autorevoli e profondi pensatori e persone comuni, si sono interrogati in questi giorni, anche collettivamente, sugli effetti della pandemia. Ne usciremo migliori, più consapevoli del valore sociale di milioni di scelte quotidiane che appaiono individuali e non lo sono per nulla? Non ho risposte certe, ovviamente. Sono però convinta che come per l’emergenza Covid-19 anche l’emergenza climatica richiede, per essere combattuta, impegnative modifiche al nostro stile di vita. Se, parafrasando il titolo di una nota poesia, “ cedi la strada agli alberi”, ne vedo esempi ben chiari cui ispirarmi: nel loro essere ponte tra passato e futuro, tra suolo e cielo, di cui resta traccia negli anelli dei loro tronchi e nel fitto intrico di radici sotterranee che spesso li portano ad agire come un unico organismo, leggo una via maestra , ed anche un monito. Solo insieme, in una rete di relazioni, corroborata dalle esperienze passate ma libera di tracciare nuove rotte, l’umanità potrà di nuovo collocarsi in equilibrio nel sistema in cui è inserita”.

Gestione forestale e rimboschimenti in Italia potrebbero attenuare il dissesto idrogeologico. A che punto sono gli investimenti?

“Gestire in maniera sostenibile i boschi significa assumersi responsabilità per le generazioni presente e futura. In passato furono compiute scelte importanti in tal senso, di cui beneficiamo anche oggi. Ad esempio, ricordo la grande opera di rimboschimento effettuata tra le due guerre mondiali e nel secondo dopoguerra ad opera del Corpo forestale dello Stato su terreni sia pubblici sia privati. Con il passaggio delle competenze tecniche forestali alle Regioni questo tipo di attività si è di molto rallentata. Non di meno le superfici forestali sono continuate ad aumentare, per effetto della naturale avanzata dei boschi in ex coltivi abbandonati delle aree collinari e montane, e le norme a tutela dei versanti per prevenire il dissesto, ormai quasi centenarie nella loro norma quadro, hanno consentito di prevenire dissesti di maggior portata di quanto continua, purtroppo, a verificarsi. Le cause sono molte, a partire dalla peculiare situazione orografica dei nostri rilievi, insieme a fenomeni di estesi abusi edilizi in zone fragili, vaste cementificazioni e realizzazioni di manufatti basati su dati inattendibili in partenza, o resi inidonei nel tempo a governare gli effetti della crisi climatica. Gli investimenti in questo settore soffrono, in via generale, dei problemi che affliggono gli investimenti pubblici italiani: i fondi ci sarebbero, i progetti virtuosi approvati dopo defatiganti procedure, gare e ricorsi, sospensioni dei lavori si arenano. Anche il sovrapporsi di competenze non aiuta a spendere efficacemente il denaro che pure è a disposizione. La consapevolezza della necessità di rendere più celeri gli investimenti nel settore, e di risolvere le lentezze senza derogare all’obbligo di trasparenza e buona amministrazione è ben chiara e condivisa. L’uscita graduale dal forzato stop legato alla pandemia promette di vedere progressi anche da questo punto di vista. Non ovunque si può operare come abbiamo visto per la ricostruzione del ponte sul Polcevera a Genova, ma certo abbiamo la dimostrazione che le capacità e i metodi innovativi sono alla nostra portata”.

Qual è il “percepito” della gente nei confronti dei boschi? Esiste una percezione di necessità di incrementare la superficie boschiva non solo per ragioni economiche?

“In generale gli italiani non conoscono molto dei loro boschi. Sono spesso convinti che ce ne siano pochi nella Penisola, e che, come succede fuori dal continente europeo, sia in atto un processo di deforestazione. Ne abbiamo avuto conferma quando il Ministero, con l’ausilio di più di 400 diversi contributori, ha pubblicato il primo Rapporto sullo stato delle foreste in Italia (scaricabile gratuitamente dal sito della Rete rurale Nazionale, RAF2019 www.reterurale.it/foreste): la sorpresa di scoprire che il 36,4% del territorio nazionale è coperto da boschi è stata grande, ma la percezione resta ancora parziale e deformata da molte notizie false che circolano in rete. D’altro canto, i boschi suscitano, per fortuna, un sentimento ed una sensibilità collettiva molto forte e vantano nutrite schiere di promotori di iniziative virtuose, di privati, singoli ed organizzati, o imprese che, contribuendo alla messa a dimora di nuove piante, compensano le emissioni gassose conseguenti le loro produzioni e non altrimenti mitigabili. Tra le tante, mi piace citare l’iniziativa 60 milioni di alberi, lanciata da Slow food, Comunità Laudato si ed il prof. Mancuso; o il progetto ForestaMi dell’area metropolitana di Milano: sono solo due tra i molti esempi che si possono citare di azioni conseguenti alla percezione della necessità di incrementare le aree forestali, principalmente nelle zone urbane e periurbane”.

Non è arrivato il momento di pensare a un’Unione Europea delle foreste? In altre parole, una politica comune che rimetta al centro l’habitat e la salute dei cittadini?

“L’Unione europea ha una politica ambientale e agricola comune. Non ha una politica forestale comune, perché il legno non è materia che rientra nell’Allegato I del Trattato dell’Unione, ma ha politiche settoriali che interessano le foreste, in materia di agricoltura, di clima, di energia, di bioeconomia, di biodiversità ed ha elaborato, e recentemente aggiornato, una Strategia forestale europea. Il Green New Deal annunciato, ma ancora non chiaro nei suoi aspetti di dettaglio, certamente porrà al centro delle sue previsioni le foreste e i suoi prodotti rinnovabili, gli habitat e la salute. Siamo a mio giudizio vicini ad una svolta”.

L’Italia è un paese montuoso. Le Alpi un patrimonio unificante dalla Francia alla Svizzera all’Austria. Una “regione dei boschi” senza confini amministrativi. Perché non promuovere un’azione comune in difesa delle foreste?

“Esiste già un progetto in tal senso.Con la Convenzione delle Alpi, dal 2012 si promuove il ruolo delle foreste montane che rappresentano un elemento distintivo della regione alpina. Il progetto della Convenzione intende proprio contribuire alla cooperazione intersettoriale sulla base di un programma di lavoro pluriennale , in particolare negli ambiti del cambiamento climatico, della biodiversità, del turismo e della green economy. Ma vi sono molte altre iniziative transfrontaliere che si occupano della montagna alpina, cui partecipano Stati, Regioni ma anche rappresentanze delle comunità locali. Il percorso di dialogo è ben avviato, perché esiste un comune sentire dei “montanari alpini” che va ben oltre la nazionalità. Molti studi sono stati avviati, con positivi risultati, mentre risulta più difficile passare dagli studi all’azione. Collaudati progetti di cooperazione creati per porzioni di settori alpini confinanti, come i progetti Interreg, hanno dato pregevoli risultati. La via tracciata è da proseguire con determinazione.”

Qual è il rapporto foreste-agricoltura e foreste-suolo in Italia?

“La domanda non è semplice, e avrebbe bisogno di molto tempo per essere approfondita. Mi limito ad osservare che le superfici agricole che attualmente vediamo coltivate sono state ottenute, in Italia fin dall’antichità eliminando le aree boscate, che potenzialmente si potrebbero diffondere sul 90% del territorio nazionale. A volte si enfatizza un rapporto conflittuale tra foreste e agricoltura, in particolare in zone collinari e montane dove basta non coltivare per pochi anni un appezzamento per vederlo trasformarsi naturalmente in un bosco, ad opera delle specie chiamate pioniere. In realtà, si tratta solo di una naturale dinamica successionale: il bosco tende a ricolonizzare le aree da cui era stato tolto. Inoltre i terreni agricoli e i terreni forestali beneficiano della vicinanza gli uni agli altri, perché sono proprio le zone di margine tra i due tipi di ecosistemi ad essere tra le più dotate di biodiversità animale e vegetale. Per non parlare dell’elevatissimo valore paesaggistico di questo alternarsi di coltivi e boschi, che rende l’Italia straordinariamente unica nella sua continua mutevolezza di scenari. Il suolo forestale, poco conosciuto e anche poco ancora studiato, fornisce un contributo straordinario al capitale naturale nazionale, anche solo se pensiamo alla sua capacità di contribuire in modo determinante al ciclo delle acque, alla loro regimazione e purificazione naturale, ma anche alla grandissima capacità di stoccare in maniera permanente anidride carbonica, una dei principali gas climalteranti, tra i principali responsabili, per il suo eccesso in continua crescita, della crisi climatica in atto”stefani3.

 

 

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