Bio, la grande distribuzione cerca di rubare la scena ai negozi di vicinato

Bio, la grande distribuzione cerca di rubare la scena ai negozi di vicinato

di Enricbiologicoo Villa

Nel 2023, fra sette anni appena, dai centri abitati sparirebbero i negozi di vicinato e le bancarelle, proprie delle nostre città e dei nostri centri minori. Lo spazio riservato sarebbe tuttavia a disposizione della grande distribuzione collocate nelle periferie urbane che stanno lentamente uccidendo il commercio tradizionale il quale avvicina produzione e consumatori. Di conseguenza, sarà anche sconvolta la concezione del kilometro zero che in questi anni si sta affermando.

Non solo. Con circa cinquantamila empori se ne andrebbero 150.000 posti di lavoro fra diretti e dell’indotto che garantiscono il lavoro. “Il conto sarebbe troppo salato“, sottolinea un documento di analisi di Confesercenti che con Confcommercio cura, in particolare, i cosiddetti esercizi di vicinato. Nello stesso documento, Confesercenti si sofferma su un altro rapporto: tre esercizi su quattro vanno incontro alla inesorabile chiusura anche per il fisco troppo pesante, diversamente da quanto accade negli altri 27 partner della UE. “E’ un’emergenza sociale, economica ed occupazionale“, rilevano alla Confesercenti. E questo in uno scenario della grande distribuzione quale protagonista che si lamenta di non avere più i bilanci floridi come un tempo. A causa della crisi economica e del fenomeno ancora impercettibile delle tendenze mutate dei consumatori, sempre più attenti alla provenienza e alla qualità dei prodotti, garantiti da due condizioni: l’autentico made in Italy e il Chilometro zero offerto dai territori italiani.

Di fronte a tutto questo il marketing, che sempre più analizza anche l’agroalimentare, solleva questo quesito: ma andrà così, con il disastro del commercio di vicinanza e senza spazio per nuove iniziative aziendali che invece valorizzano i prodotti territoriali? Un altro studio di Ascom in parte contraddice le conclusioni di Confesercenti, lasciando sperare che rimanga spazio per gli esercizi commerciali tradizionali e per le produzioni a chilometro zero. La ricerca, effettuata con base Torino, è stata significativamente così intitolata: La bottega sotto casa è scomparsa? Anzi no, ha cambiato nome. E mette in correlazione la popolazione anziana in aumento evidente che frequenta di meno la grande distribuzione in periferia, preferendo la fedeltà per gli esercizi del centro città nonché le bancarelle più accessibili che offrono i prodotti locali. E lo studio rileva, anche non considerando i raccolti di eccellenza che provengono dalla terra: il commercio di prossimità sta suscitando interesse prescindendo dal suo ambito specifico. E aggiunge che le influenze sulle scelte agroalimentari dipendono anche dagli abitati dove si vive meglio. Questo forse non avviene a Milano o a Roma perché è evidente che davanti a questo nuovo che avanza anche le grandi città come Chicago o Sydney abbiano ben poco da perdere . Nel contesto di questi grandi centri urbani lo spazio per il commercio tradizionale continuerebbe ad affermarsi, magari con stili e impostazioni diverse.

Anticipatamente rispetto a questo nuovo che avanza , nel 2008 è stata istituita la Fondazione Campagna Amica, con la diffusione in Italia di punti vendita con produzioni territoriali di eccellenza. Nonostante la sorda avversione di amministrazioni comunali, provinciali e regionali, i punti vendita che rinnovano la tradizione si stanno affermando. Storicamente le radici vanno ricercate nei mercati del contadino americani e inglesi. La Fondazione Campagna Amica ha sintetizzato la sua mission in un manifesto, mentre l’azione di penetrazione è stata intensificata dai Fai (Firmati da agricoltura italiana, Coldiretti) che propone carne fresca, olio, ortaggi, pasta, riso, salumi ipotizzando la vendita di generi di eccellenza nelle Botteghe italiane disseminate lungo la penisola. Specialmente il manifesto della Fondazione Campagna Amica dedicata ad una filiera agricola tutta italiana insiste sui prodotti ma anche sull’ambiente. Questi i punti più qualificanti dello stesso manifesto: un giusto prezzo e una effettiva garanzia di qualità e di trasparenza dei cibi; la valorizzazione dei primati e delle distintività dei nostri territori e di chi vi abita e lavora; un accrescimento del patrimonio complessivo del nostro Paese.

Sebbene ancora impercettibile, si sta sviluppando una concorrenza con la grande distribuzione di questo nuovo commercio tradizionale proposto dalla Fondazione Campagna Amica. Infatti, la grande distribuzione si sta adeguando alla domanda dei consumatori attenti alle etichette e in cerca di generi con un elevato standard di genuinità. Un esempio è rappresentato dal biologico cui nella grande distribuzione sono stati dedicati reparti specializzati. Questo fenomeno di crescita, già riservato al biologico delle Botteghe italiane e dei mercatini periodici, corrisponde al record di acquisti nel 2016: più 21% con una superficie impegnata in Italia di 1,5 milioni di ettari che anche riguardano la carne bovina (più 20%), il pollame ( più 18%), i caprini (più 9%) nonché i formaggi biologici. Il braccio di ferro “commercio agricolo tradizionale e grande distribuzione”, è in atto. In futuro, e senza misure adeguate, la concorrenza potrebbe anche svilupparsi con le comunità cinesi i cui negozi in Italia negli ultimi sette anni sono cresciuti di circa il 140%. Ma la loro specializzazione per ora non è nell’agroalimentare, bensì nel tessile, nell’ abbigliamento, nella pelletteria, nelle calzature.

 

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