Certezze da rivedere per assicurare il cibo sulle nostre tavole

di Gianfranco Quaglia

Covid, guerra in Ucraina, speculazioni: una tempesta perfetta, verrebbe da dire, che si abbatterà anche sulle tavole dei consumatori. Il mondo dei campi, per primo, aveva lanciato l’allarme. Destabilizzazione dei mercati, carenza di materie prime, aumento esponenziale dei costi (oltre il 100% dei fertilizzanti che prima arrivavano dalla Russia), stanno mettendo a forte rischio la disponibilità di cibo nei prossimi mesi. Il timore non è virtuale, tanto che la Commissione europea subito dopo lo scoppio del conflitto Russia-Ucraina ha dovuto affrettarsi nel rivedere le prospettive. La Pac (Politica agricola comune) fortemente improntata al rispetto dell’ambiente con il piano decennale “Farm to fork” che prevede anche molte terre a riposo, è tornata con rapidità sui suoi passi accogliendo in parte le richieste degli imprenditori agricoli dell’UE. 

L’Ucraina, “granaio d’Europa”, cui attingevano non solo i paesi europei (Italia compresa), non può essere considerata sotto questo aspetto, almeno per qualche tempo. E così è necessario produrre di più per non rimanere senza scorte di cereali. Obiettivo possibile da raggiungere con una maggiore disponibilità di seminativi. Bruxelles ha “liberato” 4 milioni di ettari complessivi, di cui 200 mila concessi all’Italia. Di questi, circa 20 mila, riguardano il Piemonte, dove si potrà seminare non solo riso in più, ma anche più mais e grano. Operazione che dovrebbe consentire nel suo insieme di ridurre la dipendenza dalle importazioni di prodotti necessari all’alimentazione animale (mangimi) ma anche a quella umana (pane e derivati).

Non era mai accaduto, dal dopoguerra in poi, che all’orizzonte si profilasse questo incubo: il rischio che l’industria agroalimentare andasse in sofferenza per mancanza di materia prima da trasformare e di conseguenza la difficoltà di soddisfare la domanda dei consumi. Noi importiamo ogni anno fertilizzanti da Russia, Bielorussia, Ucraina per 140 milioni di euro. Inoltre dall’estero arriva circa la metà del mais necessario all’alimentazione del bestiame e il 60% del grano tenero per la panificazione.

Siamo di fronte a una situazione di eccezionalità estrema. 

 

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