Una patata scriverà la pace tra Palestina e Israele?

di Gianfranco Quaglia

Expo, rush finale, fra un mese si chiude. Primi bilanci e considerazioni conclusive: si è parlato tanto di biodiversità, agricoltura sostenibile, tracciabilità, cibo condiviso e comportamenti antispreco. Ma crediamo che il messaggio più forte e concreto sia arrivato sul finire di questa lunga e calda estate, dagli agricoltori di due Paesi che a Expo sono presenti in padiglioni diversi: la Palestina, nel cluster delle zone aride, con il suo slogan «antico come un albero di ulivo, forte come il suo frutto»; e da Israele, che ha proposto «i campi di domani» con il suo giardino verticale e il richiamo all’irrigazione a goccia. Due Paesi che in Medio Oriente non sono ancora riusciti a scrivere la parola «Pace». Forse l’hanno trovata gli agricoltori, con una lezione pratica di straordinaria potenza. La notizia non è partita da Expo, ma dal «The Jewish Press» e rilanciata da «FreshPlaza», il sito web per il commercio italiano di frutta e verdura, una finestra sul mondo agroalimentare specifico.
Al centro del fatto una patata, anzi più tuberi. Siamo nella Striscia di Gaza, con il muro che separa da un parte Israele e dell’altra la Palestina, dove i produttori di patate sono alla ricerca di nuove varietà da coltivare, più adatte e migliori rispetto a quelle tradizionali, perché si è aperto un mercato, con una fabbrica pronta a sfornare chip, patatine.
Ora accade che i colleghi pataticoltori israeliani tendano la mano attraverso o superando il muro: i semi prodotti in terra d’Israele, precisamente nel Kibbutz di Nahl Oz, saranno esportati in Palestina. Colloqui bilaterali in corso, ma si sta andando verso la conclusione per la fornitura. Potrebbe essere il primo atto di una lunga cooperazione che forse porterebbe anche ad abbattere i muri e le barriere ideologico-politiche. «Perché la politica – dichiara il produttore Yankale Cohen – non l’avrà mai vinta sull’agricoltura, tutti abbiamo bisogno di mangiare e non c’è nulla di più potente di questo. Speriamo che ciò sia l’inizio di qualcosa di molto più bello, non solo le patate, ma anche altre cose. Forse si fermeranno di spararsi addosso per le patate?»
E il collega palestinese Jamal Abu Naja, presidente dei coltivatori nella Striscia: «Sappiamo di che cosa stiamo parlando, siamo tutti agricoltori. Noi non capiamo la politica, ma solo l’agricoltura».
Il «The Jewish Press» scrive di una «straordinaria collaborazione fra i i produttori di patate israeliani e quelli della Striscia di Gaza» dedicando all’episodio un ampio servizio.

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