Quelli del foraging, eredi dei mangiatori di patate di van Gogh

di Enrico Villa

Era il 1885. Vincent van Gogh che viveva ad Arles nella Francia meridionale, aveva appena ultimato il dipinto I mangiatori di patate . E in una delle sue lettere (forse la quattrocentesima) egli scrisse al fratello Theo, antiquario olandese, spiegandogli il significato del suo quadro: povertà dei contadini da rimarcare e costretti a nutrirsi prevalentemente di patate, genere importante della orticoltura provenzale.

I mangiatori di patate sono uno dei documenti pittorici che testimoniano quanto fosse fondamentale il cibo proveniente dall’orto dietro casa della popolazione indigente e contadina, fissato nella storia antropologica da Vincent van Gogh(1853/1890). Non il solo, però, nei documenti su tavola e su tela lasciatici dall’arte. Incominciò il milanese Giuseppe Arcimboldo (1526/15939) che con l’ausilio degli ortaggi trasformò i suoi ritratti, dando una dignità alle cipolle e a tanti altri vegetali che sono entrati nella storia europea come i cavoli venuti dall’Oriente. Poi il bolognese Annibale Carracci (1560/1609) con il suo Mangiatori di fagioli ricordò come i fagioli, carne dei poveri, abbiano risolto per lunghi anni il problema della alimentazione delle popolazioni in difficoltà. Ora ai generi dell’orto coltivati con sempre meno fitofarmaci e in arrestabile affermazione, si è aggiunta la riscoperta delle tante erbe nei campi, e la specializzazione dei raccoglitori è stata chiamata foraging per dare agli estimatori, sempre di più insalate diverse, o medicinali fin dal Medioevo prodotti nei conventi dei Benedettini o di altri ordini religiosi. I fenomeni, in corso di scoperta o di apprezzamento dai ricercatori, sono stati “imprigionati” in statistiche: i generi orticoli stanno crescendo fra i giovani del 37/38% come è stato accertato in una delle ultime edizioni della rassegna emiliana Fruit. Gli appartenenti a questi target si nutrono più di patate che di carne (7,9 chilogrammi pro capite), con questo dato aggiuntivo che riguarda le famiglie italiane: 98,55 Euro mensilmente, con una media di 32 chilogrammi i quali significano individualmente 3/4 chilogrammi pro capite. Questi fenomeni di sviluppo sono sintetizzati con altre cifre: 1,5 miliardi di Euro con una impennata calcolabile intorno al 25% circa la quale concernerebbe tutta l’Europa (Federazione Russa compresa, con export rallentato dalle sanzioni rinnovate che hanno danneggiato l’export della agricoltura italiana).

Lo scenario che i dati descrivono, è la conseguenza di una realtà orticola così tratteggiata: un elevato numero di serre che si aggiunge alle coltivazioni a cielo aperto in Emilia, Campania, Marche, Sicilia, Piemonte e Lombardia che (dato del ministero dell’Agricoltura) confluisce sensibilmente a sostenere il valore complessivo dell’alimentazione italiana: 41 miliardi di Euro. Dagli anni Cinquanta, e successivamente dal 1968, anno della cosiddetta rivoluzione verde, l’orticoltura (appezzamenti minimi di un ettaro, medi compresi fra uno e 10 ettari) è anche diventata un patrimonio culturale che riguarda tutte le regioni italiane. Le ricerche di genetica e storiche dalla origine hanno rivalutato numerose specie di vegetali edibili i quali già fra Ottocento e Novecento avevano caratterizzato parti del territorio italiano. Da questa constatazione era anche derivata, alla fine del 2017, la decisione del ministero dell’Agricoltura di decretare il 2018 anno del cibo congiuntamente così dichiarato anche dal ministero della Cultura ricchezza della nostra italianità, fra l’altro alla origine della dieta mediterranea, in particolare della Sardegna. In essa sono annoverati i vegetali che più attraggono per tradizione il pubblico dei consumatori dal quale, tuttavia, è stato dimenticato il riso, sì di origine orientale, ma che conferisce caratteri irripetibili ad aree importanti della Pianura Padana nonché alle abitudini e alla cultura gastronomica delle popolazioni le quali scoprirono il riso come alimento nel Cinquecento. Pertanto Dario Franceschini, ministro dei Beni Culturali e Maurizio Martina, ministro delle Politiche Agricole non avrebbero forse dovuto dimenticarsi che il riso, adesso in gravi difficoltà economiche, culturalmente non sfigura accanto ai formaggi padani, ai vini veneti nonché piemontesi e all’Alberello di Pantelleria dalle quali uve si trae lo zibibbo.

In ogni caso, in volumi crescenti soprattutto sul tavolo delle giovani generazioni sono pomodori, piselli, cavoli, carciofi, carote, patate che con le sue 600 varietà stanno sempre più imponendosi anche come lavorazione industriale. Alle patate, che risolvettero terribili crisi alimentari in Irlanda e in Francia prima della rivoluzione del 1789, non saprebbero più rinunciarvi gli italiani che ne consumano 40 chilogrammi pro-capite, 60 i francesi, 120 chilogrammi il Nord Europa. Le pomme de terre, come le chiamava l’agronomo francese Antonio Augusto Parmentier (1737/1813) portate dalla soldataglia di Francisco Pizarro (1475/1541) dal Sud America atzeco, sono diventate una miniera d’oro come il pomodoro. Il re dei cuochi francesi Marco Antonio Carème(1743/1833) inventore della Haute Cuisine ne fece un diamante della cucina che nel tempo ha preso il sopravvento su tutti gli altri ortaggi, comunque sempre più graditi ai consumatori, come forse documenterà ad aprile la rassegna orticola di Barcellona diventando la colonna portante della orticoltura europea in via di progressivo miglioramenti anche grazie alle ricerche genetiche negli orti o sotto le serre.

Nella foto: I mangiatori di patate, il famoso dipinto di Vincent van Gogh

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