Quel riso in scatola che fa male all’Italia

di Gianfranco Quaglia

La politica dei piccoli passi premia chi sa insistere sino a forzare le porte. Lo sanno bene Cambogia e India diventati i principali e più temibili competitor del riso made in Italy. Il Far East è entrato in Europa purtroppo quasi senza bussare, tanto che oggi il mercato Ue è sbilanciato dalle importazioni da questi due lontani Paesi produttori, favoriti dagli accordi bilaterali a dazi agevolati. Il grido d’allarme era già stato lanciato da tempo da tutti gli agricoltori e dal presidente dell’Ente Nazionale Risi, Paolo Carrà. La novità è che la Commissione europea ora sta prendendo atto del fenomeno e ha reso noto alcune cifre: nella campagna 2012-2013 si è registrato un aumento del 50 per cento delle importazioni di riso lavorato, ma in piccole confezioni (massimo 20 chilogammi) da Nuova Delhi e Phnom Penh. Come dire: pronte all’uso e destinati direttamente agli scaffali dei supermercati europei. E’ già stato programmato un incontro con la delegazione cambogiana a Bruxelles nei prossimi giorni, mentre deve essere ancora stabilito il vertice con le autorità indiane. L’invasione di riso dal Sud-est asiatico non è soltanto uno spauracchio per i nostri risicoltori. Riso lavorato significa anche il «cut-off» per gli industriali. Come dire: riserie italiane e quelle degli altri Paesi al palo, tagliate fuori dal prodotto che arriva già pronto e impacchettato, ovviamente a costi inferiori.

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