L’agricoltura è giovane? Sembra, ma non è

di Gianfranco Quaglia

L’agricoltura italiana può definirsi giovane? Il ricambio generazionale ha favorito un’evoluzione del settore primario? Domande alle quali si può rispondere con i numeri. Ebbene, nonostante un avvicinamento alla terra da parte di alcuni, come dimostrano esempi virtuosi e coraggiosi, il mondo dei campi è ancora contrassegnato da una generazione che appartiene alla seconda metà del secolo scorso e figli e nipoti faticano a raccogliere il testimone. O se ne guardano bene dal metterlo in pratica, scoraggiati dalle difficoltà o dalla mancanza di supporti esterni. Scuole e facoltà di agraria sono affollate, tuttavia i neo-diplomati o laureati si indirizzano verso attività collaterali, pochi coloro che continuano il lavoro dei padri.

Giovanni Gioia, presidente di Anga (associazione nazionale giovani agricoltori di Confagricoltura), ha lanciato l’allarme: negli utimi 10 anni sono sparite 82 mila aziende condotte da under 35. “E’ giunto il momento di riflettere sull’efficacia delle misure fin qui adottate, rimettendo in discussione l’impalcatura generale di quelle destinate al ricambio generazionale, in un’ottica di sistema e continuità temporale. Occorre rimuovere le barriere all’insediamento, a partire da quella creditizia” ha dichiarato. Coloro che rimangono a fare impresa agricola conducono aziende con una dimensione doppia rispetto a quelle condotte da over 40 (18,3 ettaricontro 9,9 ettari).

Altre cifre che disegnano il quadro: negli ultimi dieci anni in Italia hanno chiuso 487 mila imprese, passando da 1.620.884 a 1.133.023. I capi azienda con meno di 44 anni rappresentano il 13%, nel 2010 erano il 17%.

 

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