“In quel piatto ricco si ficca la mafia”

di Gianfranco Quaglia

“Piatto ricco mi ci ficco”. Giancarlo Caselli, già procuratore generale presso la Corte d’Appello di Torino, procuratore capo a Palermo e Torino, riassume delle cosiddette agromafie. In altre parole: la criminalità organizzata nel mondo dell’agroalimentare. Il magistrato fra i più noti d’Italia, ancora in prima linea nella lotta all’illegalità, è presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare italiano, istituito da Coldiretti.

Un’attività intensa, la sua, che non si è arrestata anche dopo il pensionamento. “Anzi – ironizza – quando andai in pensione gli amici di Libera Piemonte mi regalarono una pettorina da vigile urbano e una pianta di Torino con i cantieri aperti. Un dono scherzoso e simpatico rivolto a un neo-pensionato invitandolo a trascorrere la giornata osservando i lavori in corso. Non è andata così”.

Al contrario Caselli si batte senza sosta per divulgare il valore della legalità tra i giovani, attraverso incontri, dibattiti nelle scuole. E con i libri. Il più recente s’intitola “Parole contro la mafia” ed è stato scritto con un collega, Guido Lo Forte, a cura di Sara Loffredi. Un “manuale” semplice e a portata di bambini e ragazzi, pe spiegare loro con parole chiare che cos’è la mafia e dove s’insinua. “Il business della mafia nel settore agroalimentare – dice Caselli – è di 24 miliardi e mezzo di euro l’anno. Il settore attira molto per le buone opportunità di guadagno: i nostri prodotti sono apprezzati e purtroppo imitati in tutto il mondo, il made in Italy è un potente fattore di traino, e poi mangiare si deve, per cui in questo comparto la crisi economica si sente meno. Liquide come fossero acqua, le mafie s’insinuano dappertutto: dal campo allo scaffale (anche dei supermercati), alla tavola. Sono presenti nei grandi mercati ortofrutticoli, nel trasporto e nella distribuzione. Riescono ad accaparrarsi finanziamenti pubblici, anche europei. A questo fenomeno poi occorre aggiungere un altro aspetto, il cosiddetto Italian Sounding, ovvero i prodotti fabbricati all’estero che evocano nel nome l’origine italiana, ma non lo sono. Qui il giro d’affari supera i cento miliardi l’anno. Per gli illeciti agro-alimentari abbiamo una normativa vecchia e superata. Poteva andare bene quando il problema era l’oste che allungava il vino con l’acqua, oggi tutto è cambiato. E con la prospettiva di forti guadagni quasi senza rischi, l’agromafia non la si ferma facilmente. Occorre quindi aggiornare le leggi, soprattutto rendendo obbligatoria per ogni alimento una etichetta narrante, che racconti tutto quello che si deve sapere su quel che si magia e si beve, dalla produzione delle materie prime alla loro trasformazione e confezione. Solo così si potrà garantire un cibo buono, sano ed equo”.

 

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