Il Piemonte coltiva storie, al cinema

di Gianfranco Quaglia

La metafora più efficace è quella di un documentarista che ha definito il Piemonte così: “E’ come un lenzuolo spiegazzato dopo una notte movimetata…”. Lasciando intendere tutto e il contrario di tutto. Ma certamente è la rappresentazione di un territorio che parte dalle montagne per distendersi attraverso le colline sino alla pianura. Un lenzuolo che racchiude e racconta storie. Questo è il filo conduttore del progetto “Coltivare storie, l’agricoltura piemontese al cinema”, un docufilm per la regia di Giulio Pedretti, presentato in anteprima nella Sala del Tempio della Mole Antonelliana di Torino, il capolavoro di Alessandro Antonelli, l’archistar dell’Ottocento che arrivava da Ghemme (NO), terra di grandi vini.

Un’opera cinematografica made in Piemonte, dove la narrazione diventa parte centrale e anima di un territorio al quale manca solo il mare, ma possiede una forte connotazione identitaria che ha nel vino, nel riso, nei formaggi e nelle nocciole i suoi capisaldi. Basterebbe dire questo? No. La macchina da presa vola e sfiora i paesaggi, ma indugia sulle storie, che sono quelle delle donne e degli uomini che hanno scritto e continuano a scrivere la storia di un popolo. Così ha voluto che fosse l’assessorato all’agricoltura e cibo della Regione con l’assessore Marco Protopapa, per comunicare in modo diverso il senso di una ruralità che non ha abdidato alle tradizioni, anche se guarda al futuro. Così parlano gli ultimi margari e con loro figli e nipoti; i vignaioli-custodi delle colline, dove si producono vini da re. E le ultime comparse che parteciparano al set di Riso Amaro nella risaia un tempo popolata di mondine. Non vuole essere un inno al tempo che fu, ma uno sguardo al futuro con un grande avvenire dietro le spalle. Dice Enzo Ghigo, presidente del Museo del Cinema: “Raccontare questi temi attraverso le storie del cinema e dei documentari è una chiave per renderli ancora più affascinanti e coinvolgenti”.

 

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