Il generale Alessandra Stefani: la grande lezione degli agricoltori

Il generale Alessandra Stefani: la grande lezione degli agricoltori

stefani di Gianfranco Quaglia

L’ambiente nel cuore, fin dai tempi degli Scout, l’agricoltura come radice, modo di vivere e da preservare per difendere il territorio. Il generale Alessandra Stefani, vicecomandante del Corpo Forestale dall’agosto 2014, fa la pendolare tra Milano (abita con il marito e due figli) e Roma, dove svolge l’importante ruolo. Bresciana di origine, milanese d’adozione, non dimentica il Piemonte che le ha dato molto sotto il profilo dei rapporti umani e professionali. E’ l’unico generale donna con due stellette d’argento, conseguite in carriera, ci tiene a precisare.

 Generale, ambiente e agricoltura che cosa rappresentano per lei?

«Non esiste nulla come il mondo agricolo per farti capire che l’effimero passa. La grande lezione che ci arriva dai campi e dai boschi è questa: seminare, piantare e aspettare. Nella vita bisogna avere pazienza, intuito, coraggio e qualche volta sapere anche ammortizzare le sconfitte. Questo l’ho imparato proprio nel Novarese, quando ero comandante provinciale del Corpo. Ricordo che la cosa più bella me la insegnò il padre di Alberto Arlunno, dei vigneti di Cantalupo a Ghemme. Ero andata in azienda per spiegare che sarebbe stato utile realizzarre un progetto di rimboschimento, ma di lasciare perdere il pino strobo perché non redditizio. L’anziano viticoltore mi disse: con gli alberi di pinostrobo che abbiamo già nella nostra azienda io però ho prodotto ossigeno. Una grande lezione, che mi fece riflettere sulla responsabilità sociale. Ecco, quello fu uno dei tanti episodi che mi hanno insegnato molto, con i tempi lunghi e il modo di affrontare la vita».

 Dal mondo dei campi e dalla cura dell’ambiente un messaggio per superare la crisi?

 «Ci sono esempi illuminanti che ci arrivano dal passato. Parliamo del Novarese: prendiamo la Roggia Mora, che serve ad irrigare le risaie. Un capolavoro straordinario di unità d’intenti, nei secoli scorsi i francesi venivano qui per copiare il modello. Ecco, noi dovremmo fare tesoro di questi esempi. Ma per metabolizzare il paesaggio bisogna viverlo, quando ti entra dai piedi con la lentezza della camminata prima ancora che con gli occhi, non te lo dimentichi più».

 Milano, Novara, comandante regionale in Veneto e in Piemonte, prima di approdare a Roma. Un bagaglio di esperienze…

 «Sono grata al Piemonte e a Torino, una città che ha saputo cogliere il cambiamento seguito al declino dell’industria legata alla produzione automobilistica. Anche questo è un esempio straordinario di metodo e di capacità della sua gente».

 L’incuria del territorio, l’inquinamento e la sicurezza alimentare. Il Corpo Forestale come interviene su questi temi?

 «La domanda di sicurezza in campo ambientale e agroalimentare parte da una radice comune. Il tutto nasce dall’incuria e la cura dalla conoscenza, cioè dalla prevenzione. Il nostro compito è di prevenire, di evitare che si debbe intervenire sempre a posteriori. Insomma, noi diciamo no alla cultura del dopo. Abbiamo bisogno di investire tantissimo, la cultura del territorio si è un po’ smarrita. E’ necessario ripensare alcune dinamiche. Ad esempio: quando diciamo che il lupo è da tutelare non significa che siamo contro l’agricoltura. E dobbiamo vigilare anche sulle piccole costruzioni sorte nei campi o in montagna senza tenere conto del contesto: a volte basta un piccolo capanno per stravolgere l’equilibrio, così che quando piove a dirotto l’acqua scende a valle con tutte le conseguenze che conosciamo».

 Il Corpo Forestale svolge un compito specifico e altamente specialistico. Ma se finisse inglobato nella Polizia di Stato, come prevede il progetto, che cosa accadrebbe?

 «Personalmente sarò rispettosa delle decisioni, ma io voto pe il rafforzamento e il mantenimento. Contenere i costi è doveroso, ma sarebbe un errore clamoroso, perché è proprio l’autonomia che consente al Corpo Forestale di essere tempestivo negli interventi. Con un accorpamento si finirebe con lo svilire il nostro ruolo, finiremmo in una grandissima organizzazione implementata soprattutto nelle zone urbane».

 

 

 

 

You must be logged in to post a comment Login