Dagli all’untore anzi all’agricoltore

Di Gianfranco Quaglia

Loro non hanno mai smesso. Loro sono gli agricoltori che durante il “lockdown” ci hanno assicurato, e continuano a farlo, il cibo in tavola, direttamente dal campo. Se non proprio in prima linea, come lo sono stati medici e infermieri, appena dietro. Non hanno goduto di “flash mob” di sostegno e neppure di “ola” dai balconi. Qualcuno, in particolare nei comparti di floricoltura e enologia, ha subito anche danni dell’80-100 per cento per mancate vendite. In attesa di solidarietà e compensazioni, invece sono stati anche additati. All’inizio con la tesi che il Coronavirus abbia avuto una connessione ambientale con l’inquinamento della pianura padana, dove per inquinamento s’intende lo spargimento dei liquami e gli allevamenti intensivi. Accuse rispedite al mittente, con una difesa corroborata dall’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale: negli ultimi 28 anni l’agricoltura italiana ha ridotto le sue emissioni del 13 per cento e la zootecnia incide solo per il 5,6% sul totale del gas serra. A fare arrabbiare ulteriormente il mondo agricolo è la notizia di pochi giorni or sono: la deputata pd Chiara Gribaudo di Borgo San Dalmazzo (Cuneo), guarita dal Covid-19, ha lanciato la proposta di assumere 10 mila ispettori per controllare che la ripartenza in tutte le aziende rispetti i protocolli. L’iniziativa sarebbe rivolta non solo agli agricoltori, ma a tutte le associazioni datoriali. Quelle cuneesi, compresa Confagricoltura, hanno sottoscritto una lettera piccata con un interrogativo: “Cosa dobbiamo fare per difendere la nostra dignità e non sentirci chiamare colpevoli ancora prima di iniziare a lavorare?”. Insomma, che la proposta fosse venata oppure no da un atto d’accusa, loro l’hanno presa male.

 

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