Contro il flagello dei cinghiali servono astuzia e scienza

di Gianfranco Quaglia

E’ un vero flagello di fronte al quale c’è da rimanere sbigottiti. Ma solo di tanto in tanto, quando le cronache se ne occupano, si ha la percezione del fenomeno. I danni provocati dalla fauna selvatica, in particolare i cinghiali, sono enormi in tutta Italia. A farne le spese, in prima battuta, è l’agricoltura. Ma c’è anche un risvolto sociale drammatico: la vita dei cittadini sulle strade. Gli incidenti causati dall’impatto tra auto e caprioli, soprattutto i cinghiali, ormai sono all’ordine del giorno. Soltanto in Piemonte si registrano 1.100 incidenti l’anno. Recentemente, in provincia di Cuneo, sulla tangenziale di Alba, un automobilista ha perso la vita. Il territorio subalpino, ricco di boschi e vegetazione, è fra le regioni più colpite. Roberto Moncalvo, presidente di Coldiretti, e Bruno Rivarossa, delegato confederale, hanno lanciato l’allarme richiamando a un impegno maggiore gli enti preposti, a partire dalla Regione. Ricordano che a rischio è la sicurezza dell’intera collettività e che si sono persi oltre il 50 per cento delle superfici coltivabili proprio a causa dei selvatici. Anche Enrico Allasia, presidente di Confagricoltura Piemonte, da tempo denuncia una situazione non più tollerabile, che sta diventando drammatica e invita a intervenire senza pregiudizi di sorta. 

Insomma, i cinghiali non sono più un problema, ma un’emergenza. Gli assessori regionali alla Montagna, Carosso, e all’Agricoltura, Protopapa, hanno già incontrato gli agricoltori per trovare soluzioni. L’Uncem (Unione nazionale comuni comunità enti montani) suggerisce esche alimentari con sterilizzanti, e invita a uscire dalla contrapposizione tra animalisti e cacciatori. Non è più possibile rinviare il tema, si calcola che in Italia i cinghiali superino il milione con un incremento del 200 per cento e sono alle porte delle città, anche dalla Capitale. Sempre l’Uncem propone un’altra alternativa: la caccia di selezione. E’ stata sperimentata con successo in Val d’Ossola, con un team di ricercatori dell’Università della Svizzera italiana di Lugano e dallo Studio AlpVet. È un tipo di attività venatoria del tutto diversa da quella che prevede la battuta. Si pratica in solitaria o insieme con un accompagnatore, senza cani e prevede il prelievo solo di capi con caratteristiche precise per sesso, età, eventuali problemi di salute, scelti sulla base di censimenti e piani faunistici. Una strategia quasi chirurgica e scientifica, per la quale i cacciatori devono però seguire corsi con severi esami finali.

 

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