C’è un ibrido nel nostro futuro

di Gianfranco Quaglia

Il futuro è ibrido, anzi può essere anche Unico, come una varietà di riso che appartiene al portfolio della Sa.Pi.Se. (sardo-piemontese sementi), la cooperativa con sede nel Vercellese, cui fanno capo risicoltori piemontesi e sardi. Ibrido è il mantra, la nuova frontiera che i ricercatori stanno promuovendo per contrastare gli effetti da siccità che il cereale subisce, come accaduto quest’anno. Gli biridi si sono rivelati più resistenti alle avversità e confermano l’intuizione della squadra di ricercatori che sotto la guida di Carlo Minoia, direttore generale, è proiettata alla difesa del Made in Italy sostenibile. Sa.Pi.Se., ultraquarantenne, è nota per aver dato i natali al primo riso nero italiano, il Venere. E non solo: ha introdotto la tecnologia Clearfield, varietà resistente agli attacchi del riso Crodo. Con una strategia spalmata su Piemonte e Sardegna (Valle del Tirso), dove il seme – grazie anche alle particolari condizioni climatiche – cresce in purezza prima di essere trasferito sul continente e utilizzato dai risicoltori piemontesi. Insomma, un gioco di squadra che fa bene agli uni e agli altri. Tanto che a presiedere il gruppo è Elisabetta Falchi, la nota imprenditrice sarda già assessore regionale all’agricoltura e ai vertici di Confagricoltura naizonale. Vicepresidente il novarese Claudio Cirio. La nuova frontiera degli ibridi, come spiegano i ricercatori Diego Greppi, Simone Zanasso, è frutto di una “joint-venture” con la statunitense RiceTec, che ha sede ad Alvin in Texas, un colosso nel settore delle ibridazioni in tutto il mondo. Della casa fanno parte anche Apollo, aromatico italiano di riferimento, e Misaki. Quest’ultimo un tondo cristallino precoce finalizzato al sushi.

 

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