C’è un “caso Piemonte”. L’agricoltura è maglia nera

di Gianfranco Quaglia

Sono numeri che fanno male quelli in arrivo dal registro delle imprese delle Camere di Commercio del Piemonte, ma vale la pena di prenderli in considerazione e immergersi in un bagno di sano realismo. Riguardano la nati-mortalità delle imprese nel 2019 e non risparmiano il settore agricolo. Anzi, l’agricoltura è evidenziata con la matita rossa. Andiamo con ordine: lo scorso anno sono nate 25.972 nuove aziende, ma 27.489 hanno cessato l’attività, con un saldo negativo di 1.517 unità, collocando il Piemonte al settimo posto tra le regioni italiane. Il bilancio tra nuove iscrizioni e cessazioni si traduce in un tasso dicrescita del -0,35%, lievemente migliore rispetto al 2018 (-0,45), ma ancora in netta controtendenza rispetto alla media italiana (+0,44%). Una curiosità: la crescita più sensibile in termini assoluti è quella del Lazio, seguito da Campania e Lombardia. Sul fronte opposto guida la classifica negativa il Piemonte, seguito da Emilia-Romagna e Marche, con le contrazioni più significative. Ma è l’analisi dei comparti che induce a nuove considerazioni: infatti è l’agricoltura (con un -1,76%) a far registrare il dato peggiore, davanti al commercio (-1,60%), e all’industria (-1,19%). Che cosa ci dice questa fotografia? Il ritorno ai campi o la scelta di molti giovani nei confronti del settore primario come attività prevalente in realtà non sempre corrisponde alle aspettative. In altre parole: si riduce il numero delle aziende agricole (fenomeno questo in atto da anni) a favore delle concentrazioni con la sparizione delle piccole realtà. Piccolo non sempre è bello e l’agricoltura è ancora frenata da molti fattori che tendono a scoraggiare: mancanza di infrastrutture, collegamenti, comunicazioni telematiche, farraginosi meccanismi di accesso ai fondi europei.

 

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