Al sellaio di risaia tributo nel museo

di Gianfranco Quaglia

Le sue erano mani saracinesca. Quando era fra i pali nel vecchio stadio di Novara nessun pallone toccava la rete. Piero Torchio era il portiere di riserva, ma quando veniva chiamato a sostituire il titolare, non falliva mai. Una certezza. Lo voleva il Siracusa in prima squadra, la società sicula avviò la trattativa, lui ci pensò su neanche troppo. Scelse di rimanere per amore del Novara, ma anche per la sua terra d’origine, la risaia che lo aveva visto nascere e il primo mestiere che gli dava da vivere: il sellaio. Mani tanto forti in porta quanto preziose nel rifinire i vestimenti del cavallo. Lo si intuisce osservando i pannelli fotografici (di Corrado Malinverni) che compongono la galleria dei ricordi nel museo del riso ‘l Civel di Casalbeltrame. Lui è protagonista della nuova sezione museale denominata “La bottega del sellaio”, nata da un’idea che ruota attorno a un progetto spinto da Roberto Baraggioli presidente del sistema culturale blandratese, con un comitato scientifico presieduto dalla scrittrice Margherita Oggero. Ne fanno parte nomi altrettanto blasonati come Marco Brunazzi, Alessandro Barbero, Giorgio Simonelli, Giusi Baldissone, Sergio negri, Elisa Castellano, Marta Niccolo, Elisa Malvestito. Madrina Lella Costa. La presentazione è avvenuta con “il turista per caso” Patrizio Roversi che crede fortemente in questa iniziativa.

La risaia può essere raccontata in tanti modi. L’immaginario ci riconduce subito alla sensualità di Silvana Mangano in “Riso Amaro”, perché le mondine hanno fatto la storia. Ma anche gli animali erano protagonisti. Il cavallo, innanzitutto, senza il quale trasporti e lavori nei campi non sarebbero stati possibili. Era il più nobile tra gli animali esistenti nei cascinali. Allevato e accudito, curato nei particolari, sino all’abbigliamento. “Vestire un cavallo è un po’ come vestire una sposa, c’è sempre qualcosa da sistemare” diceva Piero Torchio mentre lavorava nella sua bottega di Granozzo. L’attività dei sellai era indispensabile, svolgevano un ruolo fondamentale nella fornitura di attrezzi per i grandi animali da tiro, impiegati nei lavori di risaia (aratura, livellamento terreni, compattamento del fondo). Tutte operazioni in seguito sostituite da trattori e agricoltura di precisione che oggi utilizza laser, gps, satelliti, droni. 

Insomma, “Sua Maestà il cavallo” era quasi venerato come un dio e andava vestito con paramenti comodi, pratici e al tempo stesso evidenti perché anche l’occhio del padrone e degli astanti voleva la sua parte. E il cavallante, nei cascinali, occupava un ruolo sociale più alto rispetto agli altri salariati. 

 

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