Figli di un dio minore con il “digital divide” nei campi e sui monti

di Gianfranco Quaglia

Per due mesi, da metà giugno a metà agosto, nella risaia piemontese si è concretizzato ciò che dovrebbe essere normale quotidianità anche nel mondo rurale: la trasmissione in tempo reale, via sms o rete Internet, attraverso un’applicazione telematica e digitale, dei bollettini sul rischio di attacchi della “pyricularia grisea” (o brusone), il fungo patogeno che attacca il riso. Un processo ormai consolidato che dovrebbe essere replicato in tutte le aree agricole d’Italia. Purtroppo non sempre è così. Il lockdown, con il confinamento delle persone, l’esigenza del lavoro agile e di ordinare direttamente prodotti campo-tavola con il delivery agricolo, hanno messo in luce molte carenze, zone d’ombra insopportabili. In una parola: il cosiddetto “digital divide”, il divario digitale che ancora separa e relega all’esclusione. In Italia sono 7 mila i Comuni (rurali e montani) in attesa di interventi: molti di essi sono privi di banda larga, in tanti non arriva neppure la rete. Figuriamoci parlare di agricoltura 4.0, che dovrebbe rappresentare il futuro dei campi. Ne sa qualcosa Marco Bussone, il giornalista piemontese presidente dell’Unione nazionale comuni comunità enti montani: da tempo si batte con determinazione non solo per avere una fotografia della situazione di disagio che penalizza abitanti e agricoltori, ma anche per smuovere politica ed enti. In parte ci sta riuscendo, ma il traguardo finale è lontano. Ci sono ancora 5 milioni di italiani che intravedono i primi tre canali Rai, poi c’è la telefonia mobile con il 25% del territorio non coperto da segnale. Si è visto proprio durante il lockdown, con migliaia di studenti che non hanno potuto seguire le lezioni a distanza. Anche in Piemonte, a pochi chilometri dalle città, esistono fattorie dove la copertura è “ballerina” o arriva a stento solo quando ci si sposta in cortile.

Se è vero che l’agricoltura di precisione dovrebbe essere un futuro già presente tra noi, allora c’è parecchio da fare. La “precision farming” è indispensabile – come si vede dove esiste – per tagliare i costi di produzione, migliorare la produttività e minimizzare l’impatto ambientale. Per raggiungere questi obiettivi bisogna tracciare nuove strade veloci, proprio come si fece nel dopoguerra con quelle d’asfalto. 

 

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